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Ovidio


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Tacito
De oratoria,13
 
originale
 
[13] Ac ne fortunam quidem vatum et illud felix contubernium comparare timuerim cum inquieta et anxia oratorum vita. licet illos certamina et pericula sua ad consulatus evexerint, malo securum et quietum Virgilii secessum, in quo tamen neque apud divum Augustum gratia caruit neque apud populum Romanum notitia. Testes Augusti epistulae, testis ipse populus, qui auditis in theatro Virgilii versibus surrexit universus et forte praesentem spectantemque Virgilium veneratus est sic quasi Augustum. Ne nostris quidem temporibus Secundus Pomponius Afro Domitio vel dignitate vitae vel perpetuitate famae cesserit. Nam Crispus iste et Marcellus, ad quorum exempla me vocas, quid habent in hac sua fortuna concupiscendum? Quod timent, an quod timentur? Quod, cum cotidie aliquid rogentur, ii quibus praestant indignantur? Quod adligati omni adulatione nec imperantibus umquam satis servi videntur nec nobis satis liberi? Quae haec summa eorum potentia est? tantum posse liberti solent. Ne vero "dulces," ut Virgilius ait, "Musae," remotum a sollicitudinibus et curis et necessitate cotidie aliquid contra animum faciendi, in illa sacra illosque fontis ferant; nec insanum ultra et lubricum forum famamque pallentem trepidus experiar. Non me fremitus salutantium nec anhelans libertus excitet, nec incertus futuri testamentum pro pignore scribam, nec plus habeam quam quod possim cui velim relinquere; quandoque enim fatalis et meus dies veniet: statuarque tumulo non maestus et atrox, sed hilaris et coronatus, et pro memoria mei nec consulat quisquam nec roget."
 
traduzione
 
13. ?E non esiterei a confrontare la sorte toccata ai poeti e a quel loro felice sodalizio con la vita inquieta e ansiosa degli oratori. So bene che le loro lotte e i rischi corsi li possono portare al consolato: io preferisco il ritiro sereno e senza inquietudini di Virgilio, nel quale ritiro non vennero peraltro a mancare il favore del divo Augusto, n? la notoriet? presso il popolo romano. Lo attestano le lettere di Augusto, lo attesta il popolo stesso che, ascoltati in teatro i versi di Virgilio, si alz? tutto quanto in piedi e tribut? al poeta, che per caso era presente alla rappresentazione, un omaggio quasi si trattasse di Augusto. E potremmo dire che neppure ai nostri tempi Pomponio Secondo sia inferiore a Domizio Afro per prestigio personale e per la durevolezza della fama. Quanto a questi tuoi Crispo e Marcello, che tu invochi come modelli, che cosa c'? di cos? invidiabile nella loro sorte? Il fatto che temono oppure che sono temuti? O invece il fatto che, pressati come sono da richieste quotidiane, quelli cui non prestano il proprio servizio si indignano? Il fatto che, legati in un rapporto di adulazione, non sembrano mai abbastanza servi a chi comanda e mai abbastanza liberi a noi? E poi, in che cosa consiste questo loro grandissimo potere? I liberti, di solito, ne hanno altrettanto. Per me desidero solo che le dolci Muse, come le chiama Virgilio, mi portino in quei loro luoghi sacri e alle loro fonti, lontano dalle ansie e dagli affanni e dalla necessit? di fare ogni giorno qualcosa contro voglia. Desidero non avere pi? a che fare con la pazzia e i rischi del foro, n? con le pallide emozioni della popolarit?. Non voglio pi? essere svegliato dal rumore di chi viene a salutarmi, n? da un liberto senza fiato e non voglio, nell'incertezza di quello che pu? succedere, scrivere un testamento che mi salvaguardi; e mi auguro di possedere solo quanto io possa lasciare a chi voglio (perch? verr? anche il mio giorno, ? fatale) e voglio che l'immagine sulla tomba mi rappresenti non mesto n? cupo, ma sorridente e coronato di fiori, e che nessuno, per onorare la mia memoria, debba chiedere l'autorizzazione al senato o il consenso dell'imperatore.?
 

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