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Tacito
De oratoria,37
 
originale
 
[37] Ergo non minus rubore quam praemiis stimulabantur, ne clientulorum loco potius quam patronorum numerarentur, ne traditae a maioribus necessitudines ad alios transirent, ne tamquam inertes et non suffecturi honoribus aut non impetrarent aut impetratos male tuerentur. Nescio an venerint in manus vestras haec vetera, quae et in antiquariorum bibliothecis adhuc manent et cum maxime a Muciano contrahuntur, ac iam undecim, ut opinor, Actorum libris et tribus Epistularum composita et edita sunt. Ex his intellegi potest Cn. Pompeium et M. Crassum non viribus modo et armis, sed ingenio quoque et oratione valuisse; Lentulos et Metellos et Lucullos et Curiones et ceteram procerum manum multum in his studiis operae curaeque posuisse, nec quemquam illis temporibus magnam potentiam sine aliqua eloquentia consecutum. His accedebat splendor reorum et magnitudo causarum, quae et ipsa plurimum eloquentiae praestant. Nam multum interest, utrumne de furto aut formula et interdicto dicendum habeas, an de ambitu comitiorum, expilatis sociis et civibus trucidatis. Quae mala sicut non accidere melius est isque optimus civitatis status habendus est, in quo nihil tale patimur, ita cum acciderent, ingentem eloquentiae materiam subministrabant. Crescit enim cum amplitudine rerum vis ingenii, nec quisquam claram et inlustrem orationem efficere potest nisi qui causam parem invenit. Non, opinor, Demosthenem orationes inlustrant, quas adversus tutores suos composuit, nec Ciceronem magnum oratorem P. Quintius defensus aut Licinius Archias faciunt: Catilina et Milo et Verres et Antonius hanc illi famam circumdederunt, non quia tanti fuerit rei publicae malos ferre cives, ut uberem ad dicendum materiam oratores haberent, sed, ut subinde admoneo, quaestionis meminerimus sciamusque nos de ea re loqui, quae facilius turbidis et inquietis temporibus existit. Quis ignorat utilius ac melius esse frui pace quam bello vexari? Pluris tamen bonos proeliatores bella quam pax ferunt. Similis eloquentiae condicio. Nam quo saepius steterit tamquam in acie quoque pluris et intulerit ictus et exceperit quoque maiores adversarios acrioresque pugnas sibi ipsa desumpserit, tanto altior et excelsior et illis nobilitata discriminibus in ore hominum agit, quorum ea natura est, ut secura velint, [periculosa mirentur].
 
traduzione
 
37. ?Era dunque un senso di vergogna, oltre alle ricompense materiali, che li spingeva a non essere annoverati tra i clienti privi d'importanza invece che tra i patroni; a evitare che passasse in mano d'altri il sistema di relazioni familiari e politiche trasmesso dagli antenati; a non correre il rischio, perch? giudicati inefficienti e incapaci, di non ottenere le cariche o, dopo averle avute, di dare una cattiva prova di s?. Non so se vi siano venuti tra le mani quei vecchi documenti che si trovano ancora nelle biblioteche dei collezionisti di antichit? e che proprio adesso vengono raccolti da Muciano, che li ha ordinati ed editi, mi sembra, in undici libri di Atti e in tre di Lettere. Da essi si pu? comprendere come Gneo Pompeo e Marco Crasso, si siano affermati non solo grazie alla forza delle armi, ma anche per il loro talento oratorio; come i Lentuli, i Metelli, i Luculli e i Curioni e tutta l'altra numerosa schiera di personalit? abbiano dedicato a questi studi lavoro e passione; e come nessuno in quei tempi sia giunto ad avere una grande potenza senza un qualche dono dell'eloquenza. A ci? si aggiungeva la posizione prestigiosa degli accusati e l'importanza delle cause, fattori che costituivano un grande stimolo per l'eloquenza. Perch? c'? una grande differenza tra il dover parlare di un furto o di una formula o di una ordinanza straordinaria di un pretore, oppure invece di broglio elettorale nei comizi, di saccheggio sub?to dagli alleati o di un massacro di cittadini. ? certo meglio che questi mali non si verifichino e la miglior condizione politica non pu? non essere quella in cui non dobbiamo soffrire niente di simile; per?, quando tali fatti capitavano, fornivano copioso materiale all'eloquenza. Con l'importanza del tema cresce infatti la forza del talento e nessuno pu? produrre un discorso smagliante e famoso, se non trova una causa adeguata. Non sono, penso, a dar lustro a Demostene i discorsi composti contro i suoi tutori, e non ? la difesa di Publio Quinzio e quella di Licinio Archia a fare di Cicerone un grande oratore: no, sono Catilina e Milone e Verre e Antonio ad avergli creato l'aura di questa fama. Non dico che fosse un bene per lo stato dover subire cittadini malvagi, perch? cos? gli oratori avevano materia a dovizia per i loro discorsi, ma, come insisto a rammentare, ricordiamoci qual ? il punto e rendiamoci conto che il discorso riguarda un'attivit? che si afferma pi? facilmente in tempi torbidi e di turbamento politico. Chi ignora che ? pi? utile e meglio godere la pace che non subire gli orrori della guerra? Tuttavia sono le guerre, pi? della pace, a produrre buoni combattenti. Lo stesso ? per l'eloquenza. Quanto pi? spesso essa ha preso posizione, per cos? dire, in battaglia, quanto pi? numerosi sono i colpi che ha dato e ricevuto, e quanto pi? grandi avversari e pi? acerbi scontri sar? andata a cercare, tanto pi? alta ed eccelsa e nobilitata da quei rischi sta davanti agli occhi degli uomini, la natura dei quali ? tale per cui vorrebbero ?guardare i pericoli altrui?, standosene al sicuro.?
 

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