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Ovidio - database
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Tacito
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De oratoria,40
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originale
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[40] Iam vero contiones assiduae et datum ius potentissimum quemque vexandi atque ipsa inimicitiarum gloria, cum se plurimi disertorum ne a Publio quidem Scipione aut [L.] Sulla aut Cn. Pompeio abstinerent, et ad incessendos principes viros, ut est natura invidiae, populi quoque ut histriones auribus uterentur, quantum ardorem ingeniis, quas oratoribus faces admovebant. Non de otiosa et quieta re loquimur et quae probitate et modestia gaudeat, sed est magna illa et notabilis eloquentia alumna licentiae, quam stulti libertatem vocitant, comes seditionum, effrenati populi incitamentum, sine obsequio, sine severitate, contumax, temeraria, adrogans, quae in bene constitutis civitatibus non oritur. Quem enim oratorem Lacedae- monium, quem Cretensem accepimus? Quarum civitatum severissima disciplina et severissimae leges traduntur. Ne Macedonum quidem ac Persarum aut ullius gentis, quae certo imperio contenta fuerit, eloquentiam novimus. Rhodii quidam, plurimi Athenienses oratores extiterunt, apud quos omnia populus, omnia imperiti, omnia, ut sic dixerim, omnes poterant. Nostra quoque civitas, donec erravit, donec se partibus et dissensionibus et discordiis confecit, donec nulla fuit in foro pax, nulla in senatu concordia, nulla in iudiciis moderatio, nulla superiorum reverentia, nullus magistratuum modus, tulit sine dubio valentiorem eloquentiam, sicut indomitus ager habet quasdam herbas laetiores. Sed nec tanti rei publicae Gracchorum eloquentia fuit, ut pateretur et leges, nec bene famam eloquentiae Cicero tali exitu pensavit.
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traduzione
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40. ?E ancora: le continue assemblee pubbliche e il diritto accordato di aggredire le personalit? politiche di spicco e la stessa gloria derivante dall'essere loro nemici, nei giorni in cui numerosi abili oratori non risparmiavano neppure Publio Scipione o Lucio Silla o Gneo Pompeo e, per attaccare i cittadini di primo piano - perch? questa ? la natura dell'invidia - si servivano anche, al pari degli istrioni, delle orecchie del volgo, allora quanta passione comunicavano agli ingegni, che bagliori di fiamma davano alla loro eloquenza!
Noi non parliamo di una cosa tranquilla e pacifica, che si compiace dell'onest? e del senso della misura; no, quella grande e cos? vistosa eloquenza ? figlia della licenza, che gli stolti chiamano libert?, ? compagna dei disordini, ? pungolo per la sfrenatezza del popolo, ? incapace di obbedienza, di severit?; ? ribelle, temeraria, arrogante, e non pu? nascere negli stati ben regolati. Quale oratore noi conosciamo infatti o di Sparta o di Creta, stati in cui, come tramandano, l'ordine era severissimo e severissima la legislazione? Neppure dei Macedoni e dei Persiani n? di alcun popolo, che abbia accettato di vivere sotto un governo rigido e stabile, noi conosciamo l'eloquenza. Sono esistiti alcuni oratori a Rodi, moltissimi ad Atene, perch? l? il popolo poteva tutto, tutto potevano gli incompetenti e tutti, per cos? dire, potevano tutto. Anche la nostra Roma, finch? si mosse senza direzione, finch? si sfin? nelle lotte di parte, nei dissidi e nelle discordie, finch? non vi fu pace alcuna nel foro, nessuna concordia in senato, n? una regola nell'attivit? dei tribunali, n? rispetto per l'autorit?, n? limite alcuno al potere dei magistrati, anche Roma produsse un'eloquenza senza dubbio pi? vigorosa, come un terreno incolto ha erbacce pi? rigogliose. Ma per lo stato l'eloquenza dei Gracchi non valeva tanto da dovere subirne anche le leggi, e Cicerone ha pagato troppo cara, con una fine cos? triste, la fama della sua eloquenza.?
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