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Ovidio


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Tacito
Storie II, 56
 
originale
 
[56] Ceterum Italia gravius atque atrocius quam bello adflictabatur. dispersi per municipia et colonias Vitelliani spoliare, rapere, vi et stupris polluere: in omne fas nefasque avidi aut venales non sacro, non profano abstinebant. et fuere qui inimicos suos specie militum interficerent. ipsique milites regionum gnari refertos agros, ditis dominos in praedam aut, si repugnatum foret, ad exitium destinabant, obnoxiis ducibus et prohibere non ausis. minus avaritiae in Caecina, plus ambitionis: Valens ob lucra et quaestus infamis eoque alienae etiam culpae dissimulator. iam pridem attritis Italiae rebus tantum peditum equitumque, vis damnaque et iniuriae aegre tolerabantur.
 
traduzione
 
56. L'Italia intanto soffriva di mali ancora pi? gravi e tremendi della guerra. Disseminati per i municipi e le colonie, i Vitelliani saccheggiavano, rapinavano, tutto insozzavano tra violenze e stupri d'ogni genere. Avidi contro ogni legge divina e umana o venali a disprezzo di esse, non risparmiavano n? il sacro n? il profano. Non manc? chi, approfittando della divisa indossata, assassinasse nemici personali. Ed erano gli stessi soldati, ormai buoni conoscitori della regione, a destinare come loro preda personale i campi pieni di messi, i proprietari ricchi o, in caso di resistenza, erano loro a decretarne la morte. Compiacenti i capi, non osando opporsi. Cecina, meno avido, puntava piuttosto alla popolarit?. Valente, famigerato per i profitti delle sue rapine, fingeva di non vedere le colpe altrui. L'Italia, gi? da tempo rovinata, a fatica ora riusciva a sopportare il peso di tanti fanti e cavalieri, in mezzo a violenze, danni e rovine.
 

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