[7] Haud procul inde campi quos ferunt olim uberes magnisque urbibus habitatos fulminum iactu arsisse; et manere vestigia, terramque ipsam, specie torridam, vim frugiferam perdidisse. Nam cuncta sponte edita aut manu sata, sive herba tenus aut flore seu solitam in speciem adolevere, atra et inania velut in cinerem vanescunt. Ego sicut inclitas quondam urbis igne caelesti flagrasse concesserim, ita halitu lacus infici terram, corrumpi superfusum spiritum, eoque fetus segetum et autumni putrescere reor, solo caeloque iuxta gravi. Et Belius amnis Iudaico mari inlabitur, circa cuius os lectae harenae admixto nitro in vitrum excoquuntur. Modicum id litus et egerentibus inexhaustum.
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7. Non lontano ? la pianura, che dicono fertile un tempo, abitata da grandi citt?, bruciate poi dal fulmine; parlano di tracce residue e che la terra stessa, nel suo aspetto disseccato, non abbia pi? la forza di produrre. La vegetazione spontanea, infatti, o quella seminata dall'uomo, sia erba o fiore, appena normalmente sviluppata, annerisce, si atrofizza e si dissolve come in cenere. Da parte mia, come potrei ammettere che citt? un tempo stupende siano bruciate per il fuoco celeste, cos? credo che la terra s'infetti per le esalazioni del lago, che l'aria sovrastante si corrompa e quindi imputridiscano messi e frutta, perch? egualmente malsani il suolo e il cielo. Il fiume Belio svanisce anch'esso nel mare di Giudea e attorno alla sua foce si raccoglie una sabbia che, cotta con l'aggiunta di nitro, diventa vetro. Poco estesa ? quella spiaggia ma, per chi cava la sabbia, essa ? inesauribile.
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