[5.6] . . . Quattuor et quadraginta orationes super ea re habitae, ex quis ob metum paucae, plures adsuetudine . . . . . . 'mihi pudorem aut Seiano invidiam adlaturum censui. versa est fortuna et ille quidem qui collegam et generum adsciverat sibi ignoscit: ceteri quem per dedecora fovere cum scelere insectantur. miserius sit ob amicitiam accusari an amicum accusare haud discreverim. non crudelitatem, non clementiam cuiusquam experiar sed liber et mihi ipsi probatus antibo periculum. vos obtestor ne memoriam nostri per maerorem quam laeti retineatis, adiciendo me quoque iis qui fine egregio publica mala effugerunt.'
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V, 6. [31 d.C.]... Furono pronunciati ben quarantaquattro discorsi sull'argomento, di cui pochi dettati da serie preoccupazioni e i pi? dall'abitudine all'adulazione.
?... ho pensato che ci? significasse attirare vergogna su di me e odio addosso a Seiano. La fortuna si ? rovesciata, e colui che l'aveva voluto come collega e genero perdona a se stesso; gli altri si accaniscono con criminosa malvagit? contro Seiano, prima vilmente favorito. Non star? a dire se sia miseria peggiore essere accusato per un'amicizia o accusare un amico. Non intendo sperimentare n? la crudelt? n? la clemenza di nessuno, ma preverr? il pericolo, libero e con l'approvazione della mia coscienza. Voi, ve ne prego, conservate di me un ricordo non doloroso, ma lieti piuttosto, annoverando anche me fra quanti, con una morte nobile, si sono sottratti ai mali che coinvolgono tutti?.
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