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brano
 
Tacito
Annali VI, 10
 
originale
 
[6.10] Ne feminae quidem exsortes periculi. quia occu pandae rei publicae argui non poterant, ob lacrimas incusabantur; necataque est anus Vitia, Fufii Gemini mater, quod filii necem flevisset. haec apud senatum: nec secus apud principem Vescularius Flaccus ac Iulius Marinus ad mortem aguntur, e vetustissimis familiarium, Rhodum secuti et apud Capreas individui, Vescularius insidiarum in Libonem internuntius; Marino participe Seianus Curtium Atticum oppresserat. quo laetius acceptum sua exempla in consultores recidisse. Per idem tempus L. Piso pontifex, rarum in tanta claritudine, fato obiit, nullius servilis sententiae sponte auctor et quoties necessitas ingrueret sapienter moderans. patrem ei censorium fuisse memoravi; aetas ad octogesimum annum processit; decus triumphale in Thraecia meruerat. sed praecipua ex eo gloria quod praefectus urbi recens continuam potestatem et insolentia parendi graviorem mire temperavit.
 
traduzione
 
10. Neppure le donne furono esenti dai rischi di quei processi, e, poich? non le si poteva incriminare di sovversione politica, erano accusate per le loro lacrime; venne uccisa una vecchia, Vizia, madre di Fufio Gemino, perch? aveva pianto la morte del figlio. Questa fu opera del senato. Ma non in modo dissimile si comport? l'imperatore: vengono condotti a morte Vesculario Flacco e Giulio Marino, fra gli intimi di Tiberio di pi? vecchia data, che l'avevano seguito a Rodi e suoi inseparabili compagni a Capri: Vesculario s'era fatto tramite del complotto contro Libone, Marino complice della morte di Curzio Attico, voluta da Seiano. Tanto maggiore la gioia nel vedere pratiche perverse ritorcersi contro chi le aveva consigliate. In quel torno di tempo mor? di morte naturale - avvenimento raro data la posizione prestigiosa del personaggio - il pontefice Lucio Pisone, mai coinvolto in nessuna iniziativa servile e, di fronte all'inevitabile, capace di saggia moderazione. Gi? ho ricordato che suo padre era stato censore; visse fino a ottant'anni, s'era meritato in Tracia l'onore del trionfo. Ma la sua gloria maggiore fu l'aver esercitato con straordinario equilibrio l'ufficio di prefetto di Roma, carica da poco divenuta permanente e resa difficoltosa dalla disabitudine a obbedire.
 

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