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Ovidio


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brano
 
Tacito
Annali XIII, 42
 
originale
 
[42] Variis deinde casibus iactatus et multorum odia meritus reus, haud tamen sine invidia Senecae damnatur. is fuit Publius Suillius, imperitante Claudio terribilis ac venalis et mutatione temporum non quantum inimici cuperent demissus quique se nocentem videri quam supplicem mallet. eius opprimendi gratia repetitum credebatur senatus consultum poenaque Cinciae legis adversum eos, qui pretio causas oravissent. nec Suillius questu aut exprobratione abstinebat, praeter ferociam animi extrema senecta liber et Senecam increpans infensum amicis Claudii, sub quo iustissimum exilium pertulisset. simul studiis inertibus et iuvenum imperitiae suetum livere iis, qui vividam et incorruptam eloquentiam tuendis civibus exercerent. se quaestorem Germanici, illum domus eius adulterum fuisse. an gravius aestimandum sponte litigatoris praemium honestae operae adsequi quam corrumpere cubicula principum feminarum? qua sapientia, quibus philosophorum praeceptis intra quadriennium regiae amicitiae ter milies sestertium paravisset? Romae testamenta et orbos velut indagine eius capi, Italiam et provincias immenso faenore hauriri: at sibi labore quaesitam et modicam pecuniam esse. crimen, periculum, omnia potius toleraturum, quam veterem ac domi partam dignationem subitae felicitati submittere[t].
 
traduzione
 
42. In seguito, un uomo, passato attraverso avventurose vicende e oggetto di meritate avversioni di molti, sub?, non senza ombre sgradevoli per Seneca, una condanna. Si trattava di Publio Suillio, assai temuto e venale sotto l'imperatore Claudio e, mutati i tempi, decaduto ma non quanto i suoi nemici desideravano. Quanto a lui, preferiva apparire colpevole piuttosto che abbassarsi a pregare. Si riteneva che, per colpirlo, fosse stato riesumato un vecchio senatoconsulto e la pena prevista dalla legge Cincia contro quanti patrocinavano cause dietro compenso. Suillio, sprezzante di natura, non risparmiava proteste e invettive, sentendosi libero per l'et? assai avanzata, e attaccava personalmente Seneca, quale nemico giurato degli amici di Claudio, sotto il quale aveva sub?to un esilio assolutamente giusto. Diceva ancora che, dedito a studi appartati, fra la compagnia di giovani inesperti, nutriva livore per chi praticava, in difesa dei cittadini, un'eloquenza piena di vita e non artificiosa. A suo dire, lui di Germanico era stato questore e invece Seneca solo un adultero in casa sua. Era allora colpa peggiore ricevere un premio per un'attivit? onesta, premio offertogli spontaneamente da un suo difeso, o profanare il letto delle donne dei principi? Con quale dottrina, con quali insegnamenti filosofici aveva Seneca potuto accumulare, in quattro anni di favore del principe, trecento milioni di sesterzi? A Roma faceva cadere nella sua rete i testamenti dei vecchi senza eredi e dissanguava l'Italia e le province praticando l'usura senza alcun limite; lui, invece, possedeva una ricchezza modesta e sudata. Avrebbe affrontato l'accusa, i rischi di una nuova condanna, ogni cosa, piuttosto che sottomettere a una fortuna improvvisa la sua vecchia reputazione, frutto di tanti anni di attivit
 

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