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autore
brano
 
Tacito
Annali XIII, 43
 
originale
 
[43] Nec deerant qui haec isdem verbis aut versa in deterius Senecae deferrent. repertique accusatores direptos socios, cum Suillius provinciam Asiam regeret, ac publicae pecuniae peculatum detulerunt. mox, quia inquisitionem annuam impetraverant, brevius visum [sub] urbana crimina incipi, quorum obvii testes erant. ii acerbitate accusationis Q. Pomponium ad necessitatem belli civilis detrusum, Iuliam Drusi filiam Sabinamque Poppaeam ad mortem actas et Valerium Asiaticum, Lusium Saturninum, Cornelium Lupum circumventos, iam equitum Romanorum agmina damnata omnemque Claudii saevitiam Suillio obiectabant. ille nihil ex his sponte susceptum, sed principi paruisse defendebat, donec eam orationem Caesar cohibuit, compertum sibi referens ex commentariis patris sui nullam cuiusquam accusationem ab eo coactam. tum iussa Messalinae praetendi et labare defensio: cur enim neminem alium delectum, qui saevienti impudicae vocem praeberet? puniendos rerum atrocium ministros, ubi pretia scelerum adepti scelera ipsa aliis delegent. igitur adempta bonorum parte (nam filio et nepti pars concedebatur eximebanturque etiam quae testamento matris aut aviae acceperant) in insulas Baleares pellitur, non in ipso discrimine, non post damnationem fractus animo; ferebaturque copiosa et molli vita secretum illud toleravisse. filium eius Nerullinum adgressis accusatoribus per invidiam patris et crimina repetundarum, intercessit princeps tamquam satis expleta ultione.
 
traduzione
 
43. Non mancava chi riferisse queste parole, testualmente o in una versione peggiorata, a Seneca. Si trov? chi lo accusasse di aver derubato gli alleati, quando Suillio governava la provincia d'Asia, e d'aver messo le mani sul pubblico denaro. Ma poi, di fronte alla richiesta di un anno per istruire l'inchiesta, parve pi? spiccio cominciare dai delitti commessi a Roma, per cui i testimoni erano sottomano. E costoro gli imputavano di aver spinto, con la sua accusa impietosa, Quinto Pomponio alla scelta estrema della guerra civile, di aver indotto Giulia, figlia di Druso, e Sabina Poppea al suicidio; gli addossavano la rovina di Valerio Asiatico, di Lusio Saturnino, di Cornelio Lupo e ancora la condanna di uno stuolo di cavalieri romani e tutte le crudelt? di Claudio. A sua difesa, negava l'iniziativa personale in ciascun caso, sostenendo d'aver obbedito al principe, ma gli tronc? il discorso Nerone, dichiarando come gli risultasse, dalle memorie di suo padre, che nessuna accusa contro chicchessia fosse mai stata da lui imposta. S'appigli? allora agli ordini di Messalina, ma la difesa cominci? a mostrare la corda: perch? - si diceva - non era stato scelto allora un altro a diventare il portavoce delle crudelt? di quella svergognata? Andava dunque punito chi, prestatosi a quelle atrocit?, dopo aver intascato il premio delle sue nefandezze, le scaricava sulle spalle degli altri. Insomma gli furono confiscati parzialmente i beni (se ne concesse infatti una parte al figlio e alla nipote, cui venne riservato anche quanto da loro avuto in testamento dalla madre o dalla nonna) e fu esiliato nelle isole Baleari. Non dette segni di debolezza n? durante il processo n? dopo la condanna; e si diceva che avesse vissuto l'isolamento tra comodit? e raffinatezze. Quando poi gli accusatori riversarono i loro attacchi, per odio verso il padre, sul figlio di Suillio, Nerullino, con l'accusa di concussione, il principe si oppose, perch? di vendetta se ne era fatta abbastanza.
 

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