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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Livio
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Ab urbe condita I, 15
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originale
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[15] Belli Fidenatis contagione inritati Veientium animi et consanguinitate?nam Fidenates quoque Etrusci fuerunt?et quod ipsa propinquitas loci, si Romana arma omnibus infesta finitimis essent, stimulabat. In fines Romanos excucurrerunt populabundi magis quam iusti more belli. Itaque non castris positis, non exspectato hostium exercitu, raptam ex agris praedam portantes Veios rediere. Romanus contra postquam hostem in agris non invenit, dimicationi ultimae instructus intentusque Tiberim transit. Quem postquam castra ponere et ad urbem accessurum Veientes audiuere, obuiam egressi ut potius acie decernerent quam inclusi de tectis moenibusque dimicarent. Ibi viribus nulla arte adiutis, tantum veterani robore exercitus rex Romanus vicit; persecutusque fusos ad moenia hostes, urbe ualida muris ac situ ipso munita abstinuit, agros rediens uastat, ulciscendi magis quam praedae studio; eaque clade haud minus quam adversa pugna subacti Veientes pacem petitum oratores Romam mittunt. Agri parte multatis in centum annos indutiae datae.
Haec ferme Romulo regnante domi militiaeque gesta, quorum nihil absonum fidei divinae originis divinitatisque post mortem creditae fuit, non animus in regno avito reciperando, non condendae urbis consilium, non bello ac pace firmandae. Ab illo enim profecto viribus datis tantum ualuit ut in quadraginta deinde annos tutam pacem haberet. Multitudini tamen gratior fuit quam patribus, longe ante alios acceptissimus militum animis; trecentosque armatos ad custodiam corporis quos Celeres appellavit non in bello solum sed etiam in pace habuit.
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traduzione
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15 La guerra scatenata dai Fidenati fu come una febbre contagiosa che colp? gli animi dei Veienti (i quali, oltretutto, vantavano anche legami etnici, visto che condividevano coi Fidenati l'origine etrusca). E in pi? c'era il pericolo dei confini, nel caso in cui la potenza romana si fosse rivolta ostilmente contro tutte le popolazioni limitrofe. Cos? si riversarono in territorio romano senza per? seguire i piani di una regolare campagna militare ma piuttosto per saccheggiare i dintorni alla rinfusa. Non si accamparono n? attesero l'arrivo dell'esercito nemico, ma tornarono a Veio portandosi via ci? che avevano razziato nelle campagne. I Romani, da parte loro, non avendo trovato il nemico nei campi, attraversarono il Tevere pronti e determinati a sferrare un attacco decisivo. Quando i Veienti vennero a sapere che i nemici si erano accampati e stavano per marciare contro la loro citt?, andarono loro incontro per decidere la battaglia in campo aperto piuttosto che dover combattere ostacolati dalle case e dalle mura. Nello scontro, senza far ricorso a particolari stratagemmi di supporto alle sue truppe, il re romano ebbe la meglio solo grazie alla fermezza dei suoi veterani: sbaragli? i nemici e li insegu? fino alle mura, ma dovette desistere dall'attaccare la citt? in quanto risultava ben protetta dalle fortificazioni e dalla sua stessa posizione. Sulla via del ritorno saccheggia le campagne, pi? per desiderio di vendetta che per fare razzia. E i Veienti, piegati da questo disastroso strascico non meno che dalla sconfitta in battaglia, inviano a Roma dei delegati per chiedere la pace. Ottennero una tregua di cent'anni in cambio della cessione di parte del loro territorio.
Grosso modo furono questi i principali avvenimenti politici e militari durante il regno di Romolo. Nessuno di essi impedisce per? di prestar fede alla sua origine divina e alla divinizzazione attribuitagli dopo la morte, n? al coraggio dimostrato nel riconquistare il regno degli avi, n? alla saggezza cui fece ricorso per fondare Roma e renderla forte grazie alle guerre e alla sua politica interna. Fu proprio in virt? di quanto egli le aveva fornito che Roma di l? in poi conobbe quarant'anni di stabilit? nella pace. Tuttavia fu pi? amato dal popolo che dal senato e idolatrato dai suoi soldati come da nessun altro. Tenne per s?, e non solo in tempo di guerra, una scorta di trecento armati cui diede il nome di Celeri.
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