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brano
 
Livio
Ab urbe condita I, 21
 
originale
 
[21] Ad haec consultanda procurandaque multitudine omni a vi et armis conversa, et animi aliquid agendo occupati erant, et deorum adsidua insidens cura, cum interesse rebus humanis caeleste numen videretur, ea pietate omnium pectora imbuerat ut fides ac ius iurandum [proximo] legum ac poenarum metu civitatem regerent. Et cum ipsi se homines in regis velut unici exempli mores formarent, tum finitimi etiam populi, qui antea castra non urbem positam in medio ad sollicitandam omnium pacem crediderant, in eam verecundiam adducti sunt, ut civitatem totam in cultum versam deorum violari ducerent nefas. Lucus erat quem medium ex opaco specu fons perenni rigabat aqua. Quo quia se persaepe Numa sine arbitris velut ad congressum deae inferebat, Camenis eum lucum sacravit, quod earum ibi concilia cum coniuge sua Egeria essent. Et [soli] Fidei sollemne instituit. Ad id sacrarium flamines bigis curru arcuato vehi iussit manuque ad digitos usque inuoluta rem divinam facere, significantes fidem tutandam sedemque eius etiam in dexteris sacratam esse. Multa alia sacrificia locaque sacris faciendis quae Argeos pontifices vocant dedicavit. Omnium tamen maximum eius operum fuit tutela per omne regni tempus haud minor pacis quam regni. Ita duo deinceps reges, alius alia via, ille bello, hic pace, civitatem auxerunt. Romulus septem et triginta regnavit annos, Numa tres et quadraginta. Cum ualida tum temperata et belli et pacis artibus erat civitas.
 
traduzione
 
21 L'attenzione per questi fenomeni celesti e la loro continua ricerca avevano distolto il popolo intero dalla violenza delle armi, fornendogli sempre qualcosa con cui tenere occupata la mente: il pensiero incessante della presenza divina e l'impressione che le potenze ultraterrene partecipassero dei casi umani avevano permeato di piet? religiosa gli animi cos? profondamente che la citt? era governata pi? dal rispetto per la solennit? della fede che dalla paura suscitata dalle leggi e dalle pene. E come in citt? i sudditi uniformavano il proprio comportamento a quello del re, in qualit? di unico esempio a loro disposizione, allo stesso modo anche i popoli vicini, che in passato avevano sempre visto Roma non come una citt? ma come un accampamento situato in mezzo a loro e destinato a destabilizzare la pace di tutti, cominciarono a nutrire per Roma una venerazione tale da considerare una violazione sacrilega attaccare un centro urbano cos? integralmente votato al culto degli d?i. C'era un bosco con al centro una grotta buia dalla quale sprigionava una fonte di acqua perenne. Poich? Numa vi si recava spessissimo senza testimoni e diceva di avere l? i suoi appuntamenti con la dea, consacr? il bosco alle Camene sostenendo che queste ultime si vedevano in quella radura con la sua consorte Egeria. Istitu? anche un culto solenne in onore della Fides e prescrisse che i Flamini si recassero a questo santuario con un carro coperto trainato da due cavalli e che celebrassero la cerimonia con le mani coperte fino alle dita, per indicare che la Fides non deve essere violata e che ha il suo santuario anche nella mano destra. Stabil? inoltre molti altri culti sacrificali e i luoghi a essi demandati, luoghi cui i pontefici diedero il nome di Argei. Tuttavia, tra tutti i servizi resi allo Stato, il pi? significativo fu questo: per l'intera durata del suo regno, consacr? ogni attenzione non meno a mantenere la pace che a tutelare il paese. Cos?, due re di s?guito, anche se ciascuno per strade diverse, l'uno infatti con la pace, l'altro con la guerra, contribuirono ala grandezza di Roma. Romolo regn? trentasette anni, Numa quarantatr?. E Roma, tanto in caso di guerra quanto nella normalit? della pace, non aveva pi? problemi di organizzazione interna e di esperienza.
 

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