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Ovidio


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brano
 
Livio
Ab urbe condita I, 26
 
originale
 
[26] Priusquam inde digrederentur, roganti Mettio ex foedere icto quid imperaret, imperat Tullus uti iuventutem in armis habeat: usurum se eorum opera si bellum cum Veientibus foret. Ita exercitus inde domos abducti. Princeps Horatius ibat, trigemina spolia prae se gerens; cui soror virgo, quae desponsa, uni ex Curiatiis fuerat, obuia ante portam Capenam fuit, cognitoque super umeros fratris paludamento sponsi quod ipsa confecerat, soluit crines et flebiliter nomine sponsum mortuum appellat. movet feroci iuveni animum comploratio sororis in victoria sua tantoque gaudio publico. Stricto itaque gladio simul verbis increpans transfigit puellam. "Abi hinc cum immaturo amore ad sponsum," inquit, "oblita fratrum mortuorum uiuique, oblita patriae. Sic eat quaecumque Romana lugebit hostem." Atrox visum id facinus patribus plebique, sed recens meritum facto obstabat. Tamen raptus in ius ad regem. Rex ne ipse tam tristis ingratique ad volgus iudicii ac secundum iudicium supplicii auctor esset, concilio populi advocato "Duumuiros" inquit, "qui Horatio perduellionem iudicent, secundum legem facio." Lex horrendi carminis erat: "Duumuiri perduellionem iudicent; si a duumuiris provocarit, provocatione certato; si uincent, caput obnubito; infelici arbori reste suspendito; verberato vel intra pomerium vel extra pomerium." Hac lege duumuiri creati, qui se absoluere non rebantur ea lege ne innoxium quidem posse, cum condemnassent, tum alter ex iis "Publi Horati, tibi perduellionem iudico" inquit. "I, lictor, colliga manus." Accesserat lictor iniciebatque laqueum. Tum Horatius auctore Tullo, clemente legis interprete, "Provoco" inquit. Itaque provocatione certatum ad populum est. Moti homines sunt in eo iudicio maxime P. Horatio patre proclamante se filiam iure caesam iudicare; ni ita esset, patrio iure in filium animaduersurum fuisse. Orabat deinde ne se quem paulo ante cum egregia stirpe conspexissent orbum liberis facerent. Inter haec senex iuvenem amplexus, spolia Curiatiorum fixa eo loco qui nunc Pila Horatia appellatur ostentans, "Huncine" aiebat, "quem modo decoratum ouantemque victoria incedentem vidistis, Quirites, eum sub furca vinctum inter verbera et cruciatus videre potestis? quod vix Albanorum oculi tam deforme spectaculum ferre possent. I, lictor, colliga manus, quae paulo ante armatae imperium populo Romano pepererunt. I, caput obnube liberatoris urbis huius; arbore infelici suspende; verbera vel intra pomerium, modo inter illa pila et spolia hostium, vel extra pomerium, modo inter sepulcra Curiatiorum; quo enim ducere hunc iuvenem potestis ubi non sua decora eum a tanta foeditate supplicii vindicent?" Non tulit populus nec patris lacrimas nec ipsius parem in omni periculo animum, absolueruntque admiratione magis virtutis quam iure causae. Itaque ut caedes manifesta aliquo tamen piaculo lueretur, imperatum patri ut filium expiaret pecunia publica. Is quibusdam piacularibus sacrificiis factis quae deinde genti Horatiae tradita sunt, transmisso per viam tigillo, capite adoperto velut sub iugum misit iuvenem. Id hodie quoque publice semper refectum manet; sororium tigillum. Vocant. Horatiae sepulcrum, quo loco corruerat icta, constructum est saxo quadrato.
 
traduzione
 
26 Prima di allontanarsi, Mezio, in base alle clausole del trattato, chiede quali siano gli ordini e Tullo gli ingiunge di tenere i giovani sotto le armi perch? avrebbe avuto bisogno delle loro prestazioni in caso di guerra contro Veio. Quindi gli eserciti vengono ricondotti negli accampamenti. Alla testa dei Romani marciava Orazio col suo triplice bottino. Di fronte alla porta Capena gli and? incontro sua sorella, ancora nubile, che era stata promessa in sposa a uno dei Curiazi. Appena riconobbe sulle spalle del fratello la mantella militare del fidanzato che lei stessa aveva confezionato, si sciolse i capelli e in lacrime ripet? sommessamente il nome del caduto. Il suo pianto, proprio nel momento del tripudio pubblico per la vittoria, irrita l'animo del giovane impetuoso che, estratta la spada, trafigge la ragazza rivolgendole nel contempo queste parole di biasimo: ?Vattene con la tua bambinesca infatuazione, vattene dal tuo fidanzato, tu che riesci a dimenticare i tuoi fratelli morti e quello vivo e addirittura la patria. Possa cos? morire ogni romana che pianger? il nemico.? L'atroce delitto sembr? orribile ai senatori e alla plebe, ma a ci? si contrapponeva la prodezza di poche ore prima. Fu comunque preso e portato di fronte al re per essere processato. Questi, non volendosi assumere l'intera responsabilit? di una sentenza cos? penosa e impopolare nonch? della condanna a morte che ne sarebbe seguita, convoc? l'assemblea del popolo e disse: ?Secondo quanto ? prescritto dalla legge, nomino una commissione di duumviri e gli affido il compito di processare Orazio per lesa maest?.? Il testo della legge era spaventoso: ?I delitti di lesa maest? siano giudicati dai duumviri. Se l'imputato ricorre in appello che l'appello dia luogo a una discussione. Nel caso prevalgano i duumviri, si proceda a coprirne il capo; quindi se ne leghi il corpo a un albero stecchito e lo si fustighi sia dentro sia fuori il pomerio.? In virt? di questa disposizione, vengono nominati i duumviri. Con una legge del genere sembrava loro impossibile assolvere anche un innocente. Cos?, dopo averlo giudicato colpevole, uno di essi disse: ?Publio Orazio,ti condanno per lesa maest?. Vai littore, legagli le mani.? Il littore gli si era avvicinato e stava per mettergli il laccio, quando Orazio, su consiglio di Tullo, pi? clemente nell'interpretare la legge, disse: ?Ricorro in appello.? Il dibattito si tenne cos? di fronte al popolo e la gente fu particolarmente influenzata dalla testimonianza del padre di Orazio il quale sostenne che la morte della figlia era stata giusta e aggiunse che in caso contrario egli avrebbe fatto ricorso alla sua autorit? di padre e punito il figlio Orazio con le sue stesse mani. Poi implor? il popolo di non orbare anche dell'ultimo figlio un uomo che fino a poco tempo prima la gente aveva visto circondato da una notevole prole. Dicendo questo, il vecchio and? ad abbracciare il giovane e, indicando le spoglie dei Curiazi appese nel punto che ancor oggi si chiama Trofeo di Orazio, esclam?: ?Quest'uomo che poco fa avete ammirato incedere nell'ovazione trionfale della vittoria, o Quiriti, ce la farete a vederlo legato e fustigato sotto una forca? Uno spettacolo cos? ingrato che a malapena gli Albani riuscirebbero a tollerarne la vista. Vai littore, incatena queste mani che poco fa hanno dato al popolo romano la supremazia. Vai, incappuccia la testa al liberatore di questa citt? e legalo a un albero stecchito. Fustigalo sia dentro il pomerio - e quindi tra i trofei e le spoglie nemiche -, sia fuori di esso - e quindi tra le tombe dei Curiazi. Dove potreste portarlo questo giovane senza che la sua gloria gridi vendetta per l'onta di un simile verdetto?? Il popolo, incapace di resistere alle lacrime del padre e alla fermezza incrollabile del figlio di fronte a ogni pericolo, assolse Orazio pi? per l'ammirazione suscitata dalla sua prodezza che per la bont? della sua causa. E cos?, per purificare malgrado tutto il delitto flagrante con una qualche espiazione, al padre venne ordinato di compiere l'espiazione per il figlio a pubbliche spese. Per questo motivo egli offr? dei sacrifici espiatori che da quel momento divennero una tradizione peculiare della famiglia Orazia. Quindi eresse nella pubblica via una struttura di travi e, come se si fosse trattato di un giogo vero e proprio, vi fece passare sotto il figlio a capo coperto. La cosa esiste ncora e di tanto in tanto viene rimessa in sesto a spese dello stato: si chiama trave sororia. Quanto all'Orazia, le fu innalzato un sepolcro di pietre squadrate nel punto in cui era caduta sotto i colpi del fratello.
 

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