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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita I, 46
 
originale
 
[46] Seruius quamquam iam usu haud dubie regnum possederat, tamen quia interdum iactari voces a iuvene Tarquinio audiebat se iniussu populi regnare, conciliata prius voluntate plebis agro capto ex hostibus viritim diviso, ausus est ferre ad populum vellent iuberentne se regnare; tantoque consensu quanto haud quisquam alius ante rex est declaratus. Neque ea res Tarquinio spem adfectandi regni minuit; immo eo impensius quia de agro plebis adversa patrum voluntate senserat agi, criminandi Serui apud patres crescendique in curia sibi occasionem datam ratus est, et ipse iuvenis ardentis animi et domi uxore Tullia inquietum animum stimulante. Tulit enim et Romana regia sceleris tragici exemplum, ut taedio regum maturior veniret libertas ultimumque regnum esset quod scelere partum foret. Hic L. Tarquinius?Prisci Tarquini regis filius neposne fuerit parum liquet; pluribus tamen auctoribus filium ediderim?fratrem habuerat Arruntem Tarquinium mitis ingenii iuvenem. His duobus, ut ante dictum est, duae Tulliae regis filiae nupserant, et ipsae longe dispares moribus. Forte ita inciderat ne duo violenta ingenia matrimonio iungerentur fortuna, credo, populi Romani, quo diuturnius Serui regnum esset constituique civitatis mores possent. Angebatur ferox Tullia nihil materiae in viro neque ad cupiditatem neque ad audaciam esse; tota in alterum aversa Tarquinium eum mirari, eum virum dicere ac regio sanguine ortum: spernere sororem, quod virum nacta muliebri cessaret audacia. Contrahit celeriter similitudo eos, ut fere fit: malum malo aptissimum; sed initium turbandi omnia a femina ortum est. Ea secretis viri alieni adsuefacta sermonibus nullis verborum contumeliis parcere de viro ad fratrem, de sorore ad virum; et se rectius viduam et illum caelibem futurum fuisse contendere, quam cum impari iungi ut elanguescendum aliena ignauia esset; si sibi eum quo digna esset di dedissent virum, domi se propediem visuram regnum fuisse quod apud patrem videat. Celeriter adulescentem suae temeritatis implet; Arruns Tarquinius et Tullia minor prope continuatis funeribus cum domos vacuas novo matrimonio fecissent, iunguntur nuptiis, magis non prohibente Seruio quam adprobante.
 
traduzione
 
46 Servio, col tempo e con l'uso, era ormai incontestabilmente padrone del potere. Ci? nonostante, sentendo che il giovane Tarquinio continuava a mettere in circolazione la voce che il suo regno non aveva avuto il beneplacito del popolo, si concili? prima il favore della plebe distribuendo a ciascun cittadino parte delle terre tolte ai nemici e poi ebbe il coraggio di chiamare il popolo a esprimere un voto di fiducia nei suoi confronti. Fu un grande successo: mai nessun re prima di lui era stato eletto con una simile unanimit? di consensi. Nemmeno questo episodio ridusse in Tarquinio la speranza di impadronirsi del regno. Al contrario, essendosi reso conto che la distribuzione di terre alla plebe aveva incontrato l'opposizione dei senatori, cap? di avere la possibilit? di diffamare Servio presso di loro e di acquistare credito in senato (lui era un giovane impetuoso e di carattere inquieto e per di pi?, in casa, era incitato dalla moglie Tullia). Cos? anche il palazzo reale di Roma fu teatro di un tragico fatto di sangue che acceler?, pi? della noia per la monarchia, l'avvento della libert? e fece s? che l'ultimo regno fosse il prodotto di un delitto. Questo Lucio Tarquinio - ? poco chiaro se fosse il figlio o il nipote di Tarquinio Prisco, anche se la maggior parte degli storici propende per la prima tesi - aveva un fratello, Arrunte Tarquinio, giovane dal carattere piuttosto mite. Essi avevano sposato, come ho gi? detto, le due Tullie, figlie del re, ugualmente diversissime per temperamento. Caso volle che i due caratteri violenti non fossero finiti insieme (immagino perch? la buona stella del popolo romano volle prolungare il regno di Servio e permettere che si consolidassero i fondamenti morali della societ?). La pi? arrogante delle figlie di Tullio non poteva darsi pace che il marito non avesse un briciolo di ambizione e intraprendenza. Di qui il suo essere tutta occhi e parole di ammirazione per l'altro Tarquinio, da lei definito un vero uomo e un autentico rampollo di re. Di qui pure il suo disprezzo per la sorella, a sua detta responsabile di appiattire il marito con una totale assenza di iniziativa femminile. Presto, come sempre succede, l'affinit? reciproca li avvicin?, dato che il male pu? solo attirare il male, anche se per? fu la donna la responsabile prima di tutto l'intrigo. Quest'ultima cominci? a vedersi in segreto col cognato e, durante questi incontri, non si esimeva dall'insultare il proprio marito (con il fratello di lui) e la propria sorella (con il marito di lei). Il punto su cui batteva di pi? era questo: per lei sarebbe stato meglio essere senza marito e per il cognato sarebbe stato meglio essere celibe piuttosto che stare con persone di livello inferiore e vedersi costretti a languire per loro ignavia. Se gli d?i le avessero fatto sposare l'uomo che meritava, non ci avrebbe messo molto a vedere nella sua casa il potere reale che ora vedeva in quella del padre. Si affretta cos? a instillare nel cuore del giovane l'audacia del suo progetto. Grazie a due decessi a catena ebbero via libera in casa per celebrare un nuovo matrimonio. Servio non si oppose alle nozze, ma non diede neppure il suo consenso.
 

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