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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita II, 28
 
originale
 
[28] A. Verginius inde et T. Vetusius consulatum ineunt. Tum uero plebs incerta quales habitura consules esset, coetus nocturnos, pars Esquiliis, pars in Auentino facere, ne in foro subitis trepidaret consiliis et omnia temere ac fortuito ageret. Eam rem consules rati, ut erat, perniciosam ad patres deferunt, sed delatam consulere ordine non licuit; adeo tumultuose excepta est clamoribus undique et indignatione patrum, si quod imperio consulari exsequendum esset, inuidiam eius consules ad senatum reicerent: profecto si essent in re publica magistratus, nullum futurum fuisse Romae nisi publicum concilium; nunc in mille curias contionesque [cum alia in Esquiliis, alia in Auentino fiant concilia] dispersam et dissipatam esse rem publicam. Vnum hercule uirum?id enim plus esse quam consulem?qualis Ap. Claudius fuerit, momento temporis discussurum illos coetus fuisse. Correpti consules cum, quid ergo se facere uellent?nihil enim segnius molliusue quam patribus placeat acturos- percontarentur, decernunt ut dilectum quam acerrimum habeant: otio lasciuire plebem. Dimisso senatu consules in tribunal escendunt; citant nominatim iuniores. Cum ad nomen nemo responderet, circumfusa multitudo in contionis modum negare ultra decipi plebem posse; nunquam unum militem habituros ni praestaretur fides publica; libertatem unicuique prius reddendam esse quam arma danda, ut pro patria ciuibusque, non pro dominis pugnent. Consules quid mandatum esset a senatu uidebant, sed eorum, qui intra parietes curiae ferociter loquerentur, neminem adesse inuidiae suae participem; et apparebat atrox cum plebe certamen. Prius itaque quam ultima experirentur senatum iterum consulere placuit. Tum uero ad sellas consulum prope conuolare minimus quisque natu patrum, abdicare consulatum iubentes et deponere imperium, ad quod tuendum animus deesset.
 
traduzione
 
28 Entrarono allora in carica Aulo Verginio e Tito Vetusio. La plebe, quindi, non sapendo che tipo di consoli sarebbero stati, tenne delle riunioni notturne - parte sull'Esquilino e parte sull'Aventino - per evitare di prendere nel foro delle decisioni precipitose e lasciare che tutto avvenisse all'insegna della pi? avventata casualit?. I consoli, pensando che si trattasse, come in effetti era, di una situazione veramente pericolosa, ne misero al corrente il senato, ma la denuncia non pot? essere esaminata come il regolamento imponeva: infatti la notizia fu accolta da un coro di urla scomposte dei senatori, indignati che scaricassero sul senato l'impopolarit? di un provvedimento che invece rientrava nella sfera delle loro competenze. Era chiaro che se Roma avesse avuto dei magistrati come si deve, le sole assemblee sarebbero state quelle ufficiali. Al momento presente, invece, il governo dello Stato era frammentato in una dispersione di migliaia di assemblee e di contro-senati. Un uomo solo - e santo dio si trattava di qualcosa di pi? di un console! - della statura di Appio Claudio avrebbe spazzato via in un attimo tutte quelle conventicole di gente. I consoli incassarono le critiche e chiesero lumi sul da farsi, dichiarandosi disponibili ad agire con tutta la determinazione e il polso che il senato avrebbe considerato necessari. Fu ordinato loro di mettere in pratica la leva militare con la maggiore energia possibile, perch? proprio nell'inattivit? la plebe diventava insolente. Dopo l'aggiornamento della seduta, i consoli salgono sulla tribuna e fanno l'appello dei giovani. Visto che nessuno rispondeva al proprio nome, la folla, accalcata intorno ai due magistrati come durante un comizio pubblico, dichiar? che non ci si sarebbe pi? fatti gioco della plebe e che Roma non avrebbe avuto pi? un solo soldato se non si fossero mantenute le promesse ufficiali: bisognava restituire a ciascuno la libert? prima di mettergli in mano le armi, in modo che combattesse per la patria e i propri concittadini e non per dei padroni. I consoli avevano capito benissimo quello che era stato ordinato loro dai senatori; solo che tra quanti li avevano aggrediti verbalmente all'interno della curia, l? fuori non ce n'era uno a condividere con loro quel momento di impopolarit?, ed era chiaro che lo scontro con la plebe sarebbe stato durissimo. Cos?, prima di giocarsi il tutto per tutto, pensarono bene di interpellare di nuovo il senato. Allora i senatori pi? giovani, avventandosi minacciosamente verso gli scranni dei consoli, intimarono loro di rassegnare le dimissioni e di rinunciare a quel potere che, per mancanza di temperamento, non riuscivano a far rispettare.
 

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