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Ovidio - database
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Livio
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Ab urbe condita II, 34
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originale
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[34] Consules deinde T. Geganius P. Minucius facti. Eo anno cum et foris quieta omnia a bello essent et domi sanata discordia, aliud multo grauius malum ciuitatem inuasit, caritas primum annonae ex incultis per secessionem plebis agris, fames deinde, qualis clausis solet. Ventumque ad interitum seruitiorum utique et plebis esset, ni consules prouidissent dimissis passim ad frumentum coemendum, non in Etruriam modo dextris ab Ostia litoribus laeuoque per Volscos mari usque ad Cumas, sed quaesitum in Sicilia quoque; adeo finitimorum odia longinquis coegerant indigere auxiliis. Frumentum Cumis cum coemptum esset, naues pro bonis Tarquiniorum ab Aristodemo tyranno, qui heres erat, retentae sunt; in Volscis Pomptinoque ne emi quidem potuit; periculum quoque ab impetu hominum ipsis frumentatoribus fuit; ex Tuscis frumentum Tiberi uenit; eo sustentata est plebs. Incommodo bello in tam artis commeatibus uexati forent, ni Volscos iam mouentes arma pestilentia ingens inuasisset. Ea clade conterritis hostium animis, ut etiam ubi ea remisisset terrore aliquo tenerentur, et Velitris auxere numerum colonorum Romani, et Norbam in montes nouam coloniam, quae arx in Pomptino esset, miserunt. M. Minucio deinde et A. Sempronio consulibus magna uis frumenti ex Sicilia aduecta, agitatumque in senatu quanti plebi daretur. Multi uenisse tempus premendae plebis putabant reciperandique iura quae extorta secessione ac ui patribus essent. In primis Marcius Coriolanus, hostis tribuniciae potestatis, "si annonam" inquit, "ueterem uolunt, ius pristinum reddant patribus. Cur ego plebeios magistratus, cur Sicinium potentem uideo, sub iugum missus, tamquam ab latronibus redemptus? Egone has indignitates diutius patiar quam necesse est? Tarquinium regem qui non tulerim, Sicinium feram? Secedat nunc; auocet plebem; patet uia in Sacrum montem aliosque colles; rapiant frumenta ex agris nostris, quemadmodum tertio anno rapuere. Fruantur annona quam furore suo fecere. Audeo dicere hoc malo domitos ipsos potius cultores agrorum fore quam ut armati per secessionem coli prohibeant." Haud tam facile dictu est faciendumne fuerit quam potuisse arbitror fieri ut condicionibus laxandi annonam et tribuniciam potestatem et omnia inuitis iura imposita patres demerent sibi.
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traduzione
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34 I consoli successivi furono Tito Geganio e Publio Minucio. Quell'anno, non essendoci pi? nessuna preoccupazione militare ed essendo stato composto ogni motivo di urto all'interno, una calamit? di ben altra portata si abbatt? su Roma: la mancanza di generi alimentari, dovuta al fatto che i campi erano rimasti incolti durante la secessione della plebe, poi la fame, come succede alle citt? in stato d'assedio. Per gli schiavi e soprattutto per la plebe avrebbe voluto dire morte se i consoli non avessero provveduto mandando degli emissari a racimolare frumento dovunque, non solo lungo la costa etrusca a nord di Ostia e a sud superando via mare le terre dei Volsci fino gi? a Cuma, ma addirittura in Sicilia, tanto lontano li aveva costretti a cercare aiuto l'odio dei popoli confinanti. A Cuma, una volta acquistato il grano, le navi furono trattenute dal tiranno Aristodemo come indennizzo delle propriet? dei Tarquini di cui egli era l'erede. Presso i Volsci e nel Pontino non si riusc? nemmeno ad acquistarne: i compratori di grano rischiarono addirittura di esser assaliti dai locali. Dall'Etruria ne arriv? invece via fiume, lungo il Tevere, e bast? per sfamare la plebe. In quel disastro generale si sarebbe venuta ad aggiungere una quanto mai intempestiva guerra, se sui Volsci, gi? pronti a scendere in campo, non si fosse abbattuta una tremenda pestilenza. Vedendo il terrore che una simile decimazione aveva seminato, i Romani, per far s? che il nemico non riuscisse a liberarsi completamente della paura anche una volta uscito dall'epidemia, potenziarono con nuovi invii la colonia di Velitra e ne fondarono una nuova a Norba, sulle montagne, per avere una roccaforte nel Pontino.
Sotto il consolato di Marco Minucio e di Aulo Sempronio ci fu una massiccia importazione di grano dalla Sicilia e il senato discusse il prezzo a cui avrebbe dovuto esser venduto alla plebe. Molti pensavano fosse arrivato il tempo di dare un giro di vite alla plebe e di recuperare i diritti che essa aveva estorto ai senatori con le violenze della secessione. Uno dei pi? accesi, Marzio Coriolano, nemico della potest? tribunizia, disse: ?Se vogliono il grano al prezzo di una volta, restituiscano ai senatori i loro antichi diritti. ? mai possibile che io debba vedere dei plebei magistrati e un Sicinio dotato di poteri, io che son passato sotto il giogo e sono stato riscattato da questa specie di delinquenti? Dovr? sopportare pi? a lungo del necessario delle infamie del genere? Io che non avrei tollerato Tarquinio come re, dovrei sopportare un Sicinio? Ci vada lui ora in secessione e si porti la plebe con s?. La strada che porta al monte Sacro e agli altri colli ? libera. Rubino pure il frumento dai nostri campi come due anni fa. Si godano la carestia frutto della loro follia. Non ho paura di affermare che, domati da questa piaga, preferiranno andare a lavorare i campi piuttosto che, come fecero durante la secessione, impedire con la violenza che gli altri lavorino.? Io credo che i patrizi avrebbero potuto, mettendo delle condizioni all'abbassamento dei prezzi, liberarsi del potere dei tribuni e di tutti quei diritti concessi loro malgrado. Solo che non ? altrettanto facile dire se avrebbero dovuto farlo.
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