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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita III, 7
 
originale
 
[7] Deserta omnia, sine capite, sine uiribus, di praesides ac fortuna urbis tutata est, quae Volscis Aequisque praedonum potius mentem quam hostium dedit. Adeo enim nullam spem non potiundi modo sed ne adeundi quidem Romana moenia animus eorum cepit tectaque procul uisa atque imminentes tumuli auertere mentes eorum, ut totis passim castris fremitu orto quid in uasto ac deserto agro inter tabem pecorum hominumque desides sine praeda tempus tererent, cum integra loca, Tusculanum agrum opimum copiis, petere possent, signa repente conuellerent transuersisque itineribus per Labicanos agros in Tusculanos colles transirent. Eo uis omnis tempestasque belli conuersa est. Interim Hernici Latinique pudore etiam, non misericordia solum, moti si nec obstitissent communibus hostibus infesto agmine Romanam urbem petentibus nec opem ullam obsessis sociis ferrent, coniuncto exercitu Romam pergunt. Vbi cum hostes non inuenissent, secuti famam ac uestigia obuii fiunt descendentibus ab Tusculana in Albanam uallem. Ibi haudquaquam aequo proelio pugnatum est, fidesque sua sociis parum felix in praesentia fuit. Haud minor Romae fit morbo strages quam quanta ferro sociorum facta erat. Consul qui unus supererat moritur; mortui et alii clari uiri, M. Valerius, T. Verginius Rutulus augures, Ser. Sulpicius curio maximus; et per ignota capita late uagata est uis morbi, inopsque senatus auxilii humani ad deos populum ac uota uertit. Iussi cum coniugibus ac liberis supplicatum ire pacemque exposcere deum, ad id quod sua quemque mala cogebant auctoritate publica euocati omnia delubra implent. Stratae passim matres, crinibus templa uerrentes, ueniam irarum caelestium finemque pesti exposcunt.
 
traduzione
 
7 Senza un capo e senza forze, la citt? spopolata fu protetta dai suoi numi tutelari e dalla sua buona stella, che ispir? a Volsci ed Equi un comportamento da predoni pi? che da nemici. Infatti il loro animo era cos? lontano dal nutrire una qualche speranza non solo di conquistare ma addirittura di avvicinarsi alle mura di Roma e la vista da lontano dei tetti e dei colli sovrastanti aveva fuorviato le loro menti tanto, che l'intero esercito cominci? a esser percorso da mormorii di disapprovazione: si domandavano perch? dovessero sprecare il tempo inoperosi in un'area desolata e abbandonata, dove non c'erano opportunit? di bottino, ma solo cadaveri di uomini e di bestie, mentre avrebbero potuto invadere una terra ricca di ogni ben di Dio e inviolata quale la zona di Tuscolo. Per questo si misero rapidamente in marcia e per vie traverse che passavano in mezzo alla campagna labicana si spostarono sulle colline di Tuscolo per concentrarvi tutto l'impeto e la furia della guerra. Nel frattempo Ernici e Latini, spinti non solo dalla piet? ma anche dalla vergogna che certo avrebbero provato se non si fossero opposti ai nemici comuni lanciatisi in assetto di guerra contro Roma e non fossero intervenuti a fianco degli alleati stretti d'assedio, unirono i propri eserciti e si misero in marcia verso Roma. Qui, non avendo trovato nemici ma fidandosi delle informazioni avute per strada e seguendo le tracce del loro passaggio, li incontrarono mentre da Tuscolo stavano scendendo nella valle di Alba. Si combatt? con forze impari e la loro lealt? per il momento port? poca fortuna agli alleati. A Roma la strage dovuta all'epidemia non fu di proporzioni minori di quella patita dagli alleati a colpi di spada. L'unico console rimasto era nel frattempo deceduto. Cos? come morti erano pure altri personaggi illustri quali gli ?uguri Marco Valerio e Tito Verginio Rutulo e il capo delle curie Servio Sulpicio. La malattia aveva colpito con tutta la sua violenza anche la folla anonima. E il senato, non potendo pi? contare sull'aiuto degli uomini, spinse il popolo a rivolgere le preghiere agli d?i, ordinando che tutti, con mogli e bambini, andassero nei templi a supplicare il cielo e a chiedere la pace. Cos?, indotti dall'autorit? pubblica a fare le cose a cui gi? li costringevano le proprie sventure, i cittadini si affollarono in tutti i santuari. Dovunque le matrone, piegate a spazzare coi capelli sciolti i pavimenti dei templi, implorano gli d?i adirati e li supplicano di porre fine alla pestilenza.
 

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