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Livio
Ab urbe condita III, 26
 
originale
 
[26] Vis Sabinorum ingens prope ad moenia urbis infesta populatione uenit; foedati agri, terror iniectus urbi est. Tum plebs benigne arma cepit; reclamantibus frustra tribunis magni duo exercitus scripti. Alterum Nautius contra Sabinos duxit, castrisque ad Eretum positis, per expeditiones paruas, plerumque nocturnis incursionibus, tantam uastitatem in Sabino agro reddidit ut comparati ad eam prope intacti bello fines Romani uiderentur. Minucio neque fortuna nec uis animi eadem in gerendo negotio fuit; nam cum haud procul ab hoste castra posuisset, nulla magnopere clade accepta castris se pauidus tenebat. Quod ubi senserant hostes, creuit ex metu alieno, ut fit, audacia, et nocte adorti castra postquam parum uis aperta profecerat, munitiones postero die circumdant. Quae priusquam undique uallo obiectae clauderent exitus quinque equites inter stationes hostium emissi Romam pertulere consulem exercitumque obsideri. Nihil tam inopinatum nec tam insperatum accidere potuit. Itaque tantus pauor, tanta trepidatio fuit quanta si urbem, non castra hostes obsiderent. Nautium consulem arcessunt. In quo cum parum praesidii uideretur dictatoremque dici placeret qui rem perculsam restitueret, L. Quinctius Cincinnatus consensu omnium dicitur. Operae pretium est audire qui omnia prae diuitiis humana spernunt neque honori magno locum neque uirtuti putant esse, nisi ubi effuse afluant opes. Spes unica imperii populi Romani, L. Quinctius trans Tiberim, contra eum ipsum locum ubi nunc naualia sunt, quattuor iugerum colebat agrum, quae prata Quinctia uocantur. Ibi ab legatis?seu fossam fodiens palae innixus, seu cum araret, operi certe, id quod constat, agresti intentus?salute data in uicem redditaque rogatus ut, quod bene uerteret ipsi reique publicae, togatus mandata senatus audiret, admiratus rogitansque 'satin salue?' Togam propere e tugurio proferre uxorem Raciliam iubet. Qua simul absterso puluere ac sudore uelatus processit, dictatorem eum legati gratulantes consalutant, in urbem uocant; qui terror sit in exercitu exponunt. Nauis Quinctio publice parata fuit, transuectumque tres obuiam egressi filii excipiunt, inde alii propinqui atque amici, tum patrum maior pars. Ea frequentia stipatus antecedentibus lictoribus deductus est domum. Et plebis concursus ingens fuit; sed ea nequaquam tam laeta Quinctium uidit, et imperium nimium et uirum ipso imperio uehementiorem rata. Et illa quidem nocte nihil praeterquam uigilatum est in urbe.
 
traduzione
 
26 Ingenti forze sabine si spinsero a razziare fin sotto le mura: le campagne vennero devastate e in citt? fu s?bito il terrore. Allora la plebe prese di buon grado le armi e, tra le vane proteste dei tribuni, vennero arruolati due grandi eserciti. Con uno di essi Nauzio attacc? i Sabini. Dopo aver sistemato l'accampamento a Ereto, sfruttando per lo pi? la tecnica delle incursioni notturne affidate a pattuglie armate, provoc? tali devastazioni nella campagna sabina che, al confronto, quella romana sembrava quasi non aver risentito della guerra. Minucio non ebbe invece, nel corso della campagna, la stessa buona sorte, n? dimostr? analogo temperamento. Infatti, dopo essersi accampato non lontano dal nemico, pur non avendo sub?to alcuna grave sconfitta, continuava a rimanere pavidamente all'interno dell'accampamento. Quando i nemici se ne resero conto, la loro audacia crebbe, come sempre succede, per i timori dell'avversario e, nel cuore della notte, assalirono l'accampamento. Fallito per? l'attacco diretto, il giorno successivo circondano il luogo con fortificazioni. Ma prima che queste, erette lungo tutto il perimetro della trincea, potessero precludere ogni via d'uscita, cinque cavalieri riuscirono a incunearsi attraverso le postazioni nemiche e portarono a Roma la notizia che il console e l'esercito eran stretti d'assedio. In quel frangente non poteva succedere nulla di pi? inopinato e imprevedibile. Il panico e lo smarrimento furono cos? grandi, come se i nemici assediassero la citt? e non l'accampamento. Fu richiamato il console Nauzio. Ma siccome la sua protezione non sembrava sufficiente e alla gente andava a genio la nomina di un dittatore capace di rimediare a una situazione pi? che critica, tutti si trovarono d'accordo sul nome di Lucio Quinzio Cincinnato. Quanto segue merita l'attenzione di quelli che, eccetto il denaro, disprezzano tutte le cose umane e credono che non ci sia spazio per i grandi onori e per le virt? se non dove c'? profusione di ricchezze. Lucio Quinzio, unica speranza rimasta al popolo romano per l'affermazione del proprio dominio, coltivava un appezzamento di quattro iugeri al di l? del Tevere (zona oggi nota come Prati Quinzi), proprio di fronte al luogo dove adesso ci sono i cantieri navali. E l? fu trovato dagli inviati: se poi stesse scavando una fossa piegato sulla pala oppure stesse arando, una cosa ? certa, e ben nota a tutti: era intento a un lavoro agricolo. Dopo uno scambio di saluti, gli venne chiesto di mettersi la toga e di ascoltare quello che il senato gli mandava a dire, sperando che ci? si risolvesse nel bene suo e in quello della repubblica. Stupito domand?: ?Va tutto bene, vero?? Quindi ordin? alla moglie Racilia di andare s?bito a prendere la sua toga dentro la capanna. Ripulitosi dalla polvere e deterso il sudore, si fece avanti con la toga addosso. Gli inviati lo salutano dittatore, si congratulano, lo invitano a tornare in citt? e gli illustrano l'allarmante situazione in cui versa l'esercito. Ad attenderlo era pronta una imbarcazione allestita a spese dello Stato. Dopo aver attraversato il fiume, sulla riva opposta gli andarono incontro i tre figli, seguiti da altri parenti e amici e poi dalla maggior parte dei senatori. Accompagnato da quella folla e preceduto dai littori, venne quindi scortato a casa sua. Accorsero numerosi anche i plebei; ma non gioirono troppo alla vista di Quinzio, perch? ritenevano eccessivo il potere dittatoriale, e troppo autoritario l'uomo a cui quel potere era stato affidato. E quella notte in citt? non si fece altro che vegliare.
 

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