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Ovidio


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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita III, 40
 
originale
 
[40] Haec uociferante Horatio cum decemuiri nec irae nec ignoscendi modum reperirent nec quo euasura res esset cernerent, C. Claudi, qui patruus Appi decemuiri erat, oratio fuit precibus quam iurgio similior, orantis per sui fratris parentisque eius manes ut ciuilis potius societatis in qua natus esset, quam foederis nefarie icti cum collegis meminisset. Multo id magis se illius causa orare quam rei publicae; quippe rem publicam, si a uolentibus nequeat, ab inuitis ius expetituram; sed ex magno certamine magnas excitari ferme iras; earum euentum se horrere. Cum aliud praeterquam de quo rettulissent decemuiri dicere prohiberent, Claudium interpellandi uerecundia fuit. Sententiam igitur peregit nullum placere senatus consultum fieri. Omnesque ita accipiebant priuatos eos a Claudio iudicatos; multique ex consularibus uerbo adsensi sunt. Alia sententia, asperior in speciem, uim minorem aliquanto habuit, quae patricios coire ad prodendum interregem iubebat. Censendo enim quodcumque, magistratus esse qui senatum haberent iudicabat, quos priuatos fecerat auctor nullius senatus consulti faciendi. Ita labente iam causa decemuirorum, L. Cornelius Maluginensis, M. Corneli decemuiri frater, cum ex consularibus ad ultimum dicendi locum consulto seruatus esset, simulando curam belli fratrem collegasque eius tuebatur, quonam fato incidisset mirari se dictitans ut decemuiros, qui decemuiratum petissent?aut soli ii aut maxime?oppugnarent; aut quid ita, cum per tot menses uacua ciuitate nemo iustine magistratus summae rerum praeessent controuersiam fecerit, nunc demum cum hostes prope ad portas sint, ciuiles discordias serant, nisi quod in turbido minus perspicuum fore putent quid agatur. Ceterum?nonne enim maiore cura occupatis animis uerum esse praeiudicium rei tantae auferri??sibi placere de eo quod Valerius Horatiusque ante idus Maias decemuiros abisse magistratu insimulent, bellis quae immineant perfectis, re publica in tranquillum redacta, senatu disceptante agi, et iam nunc ita se parare Ap. Claudium ut comitiorum quae decemuiris creandis decemuirum ipse habuerit sciat sibi rationem reddendam esse utrum in unum annum creati sint, an donec leges quae deessent perferrentur. In praesentia omnia praeter bellum omitti placere; cuius si falso famam uolgatam, uanaque non nuntios solum sed Tusculanorum etiam legatos attulisse putent, speculatores mittendos censere qui certius explorata referant: sin fides et nuntiis et legatis habeatur, dilectum primo quoque tempore haberi et decemuiros quo cuique eorum uideatur exercitus ducere, nec rem aliam praeuerti.
 
traduzione
 
40 Di fronte all'attacco di Orazio, i decemviri non sapevano se era il caso di indignarsi o di lasciar perdere, e non capivano quale piega avrebbe preso la cosa. Gaio Claudio, che era lo zio paterno di Appio Claudio, pronunci? un discorso pi? simile a un'implorazione che a una requisitoria. In nome dei Mani di suo fratello, padre di Appio, supplic? il nipote di ricordarsi del consorzio civile all'interno del quale era nato piuttosto che dello scellerato patto stipulato insieme ai colleghi. Questa supplica gliela rivolgeva pi? nel suo interesse che non in quello del paese. Perch? la repubblica avrebbe rivendicato il proprio diritto contro la loro volont?, se i decemviri non erano in grado di garantirlo spontaneamente. Ma grandi scontri di solito generano grandi rancori: e Claudio ne temeva gli esiti. Bench? i decemviri volessero evitare che il dibattito si spostasse su temi estranei a quelli posti all'ordine del giorno, tuttavia non ebbero il coraggio di interrompere Claudio. Egli quindi espresse il parere che il senato non doveva prendere alcuna decisione. Cos? tutti compresero che Claudio riteneva i decemviri privati cittadini. E molti degli ex-consoli si dimostrarono d'accordo. Un'altra proposta, apparentemente pi? spregiudicata ma di fatto molto meno drastica della precedente, invitava i patrizi a riunirsi per nominare un interr?. Varando infatti un qualsiasi provvedimento, venivano riconosciuti magistrati quelli che avevano convocato il senato, mentre sarebbero rimasti privati cittadini se invece si accettava la proposta di chi caldeggiava la completa astensione dall'attivit?. Mentre la posizione dei decemviri era sempre pi? in bilico, Lucio Cornelio Maluginense, fratello del decemviro Marco Cornelio, cui era stato intenzionalmente riservato l'ultimo intervento nel dibattito, in un primo tempo si mise a difendere il fratello e il resto del collegio fingendo di essere in apprensione per la guerra, e poi disse di essersi curiosamente domandato in base a quale fatalit? avesse potuto succedere che contro i decemviri si fossero scagliati - soltanto o soprattutto - proprio quelli che avevano puntato al decemvirato; e perch? mai, mentre nel corso di tutti quei mesi di pace interna nessuno di loro aveva posto in discussione la legittimit? dei magistrati preposti alle pi? alte cariche, e soltanto adesso, coi nemici ormai quasi alle porte, si mettessero ad alimentare dissensi tra i cittadini; a meno che non pensassero che in uno stato di confusione i reali motivi del loro comportamento si sarebbero rivelati meno perspicui. Quanto al resto, non era forse meglio non pregiudicare una questione tanto importante quando le menti erano occupate da un pensiero ben pi? grave? Intorno all'accusa mossa da Valerio e Orazio secondo la quale i decemviri avrebbero dovuto uscire di carica prima delle Idi di maggio, Cornelio disse che a suo parere la questione andava dibattuta in senato, non prima per? di aver posto fine alle guerre incombenti e di aver riportato la pace nello Stato. Appio Claudio si tenesse pronto gi? fin da allora a rendere conto dei comizi per elezioni dei decemviri che egli stesso, un decemviro, aveva presieduto: se erano stati nominati per un anno oppure fino a quando non fossero state approvate le leggi mancanti. Quanto poi al presente, l'opinione di Cornelio era che ci si dovesse occupare esclusivamente della guerra. Se poi le voci riguardanti la guerra si dimostravano infondate e i senatori ritenevano che non solo i messaggeri romani ma anche gli ambasciatori dei Tuscolani avessero riferito delle notizie prive di senso, allora - questo quanto lui suggeriva - sarebbe stato necessario inviare sul posto delle pattuglie di ricognizione perch? riportassero informazioni pi? sicure dopo aver attentamente esaminato la situazione. Se invece si prestava fede ai messaggeri romani e agli ambasciatori, si facesse al pi? presto la leva, i decemviri guidassero gli eserciti dove sarebbe parso pi? opportuno a ciascuno di loro; si desse alla guerra la precedenza assoluta su ogni altra questione.
 

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