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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita III, 42
 
originale
 
[42] Nihilo militiae quam domi melius res publica administrata est. Illa modo in ducibus culpa quod ut odio essent ciuibus fecerant: alia omnis penes milites noxia erat, qui ne quid ductu atque auspicio decemuirorum prospere usquam gereretur uinci se per suum atque illorum dedecus patiebantur. Fusi et ab Sabinis ad Eretum et in Algido ab Aequis exercitus erant. Ab Ereto per silentium noctis profugi propius urbem, inter Fidenas Crustumeriamque, loco edito castra communierant; persecutis hostibus nusquam se aequo certamine committentes, natura loci ac uallo, non uirtute aut armis tutabantur. Maius flagitium in Algido, maior etiam clades accepta; castra quoque amissa erant, exutusque omnibus utensilibus miles Tusculum se, fide misericordiaque uicturus hospitum, quae tamen non fefellerunt, contulerat. Romam tanti erant terrores allati, ut posito iam decemuirali odio patres uigilias in urbe habendas censerent, omnes qui per aetatem arma ferre possent custodire moenia ac pro portis stationes agere iuberent, arma Tusculum ad supplementum decernerent, decemuirosque ab arce Tusculi digressos in castris militem habere, castra alia a Fidenis in Sabinum agrum transferri, belloque ultro inferendo deterreri hostes a consilio urbis oppugnandae.
 
traduzione
 
42 Il paese, adesso che era in guerra, non conobbe una gestione migliore di quella avuta in tempo di pace. La sola colpa dei comandanti fu quella di essersi resi invisi agli occhi dei cittadini. Il resto della responsabilit? gravava quasi per intero sulle spalle dei soldati i quali, volendo evitare che sotto la guida e gli auspici dei decemviri qualunque iniziativa avesse esito favorevole, si lasciavano sconfiggere di proposito, coprendo di ignominia se stessi e i loro comandanti. Gli eserciti vennero cos? sbaragliati sia dai Sabini a Ereto, sia dagli Equi sull'Algido. Da Ereto, fuggendo nel silenzio della notte, si andarono ad accampare nei pressi di Roma, in un punto leggermente rialzato a met? strada tra Fidene e Crustumeria. Incalzati dai nemici, non si avventuravano mai a combattere in campo aperto, ma si facevano difendere dalla natura del luogo e dalla trincea, non dal loro valore e dalle armi. Sul monte Algido il disonore fu ancora pi? grande e pi? grave la sconfitta: perduto l'accampamento e privati di tutto l'equipaggiamento, i soldati ripararono a Tuscolo, sperando nel sostegno e nella sincera compassione degli ospiti che in verit? non vennero loro a mancare. A Roma erano arrivate notizie cos? allarmanti che i patrizi, lasciando da parte l'odio verso i decemviri, ritennero opportuno disporre delle sentinelle in citt? e ordinare che tutti gli uomini in et? di portare le armi andassero a proteggere le mura e costituissero posti di guardia in prossimit? delle porte. Quindi decisero che s'inviassero rinforzi a Tuscolo, che i decemviri scendessero dalla cittadella di Tuscolo e trattenessero i soldati nell'accampamento, che l'altro campo fosse spostato da Fidene alla campagna sabina; il ritorno all'offensiva avrebbe distolto il nemico dal proposito di assediare Roma.
 

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