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Ovidio


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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita III, 48
 
originale
 
[48] Decemuir alienatus ad libidinem animo negat ex hesterno tantum conuicio Icili uiolentiaque Vergini, cuius testem populum Romanum habeat, sed certis quoque indiciis compertum se habere nocte tota coetus in urbe factos esse ad mouendam seditionem. Itaque se haud inscium eius dimicationis cum armatis descendisse, non ut quemquam quietum uiolaret, sed ut turbantes ciuitatis otium pro maiestate imperii coerceret. 'Proinde quiesse erit melius. I,' inquit, 'lictor, submoue turbam et da uiam domino ad prehendendum mancipium.' Cum haec intonuisset plenus irae, multitudo ipsa se sua sponte dimouit desertaque praeda iniuriae puella stabat. Tum Verginius ubi nihil usquam auxilii uidit, 'quaeso' inquit, 'Appi, primum ignosce patrio dolori, si quo inclementius in te sum inuectus; deinde sinas hic coram uirgine nutricem percontari quid hoc rei sit, ut si falso pater dictus sum aequiore hinc animo discedam.' Data uenia seducit filiam ac nutricem prope Cloacinae ad tabernas, quibus nunc Nouis est nomen, atque ibi ab lanio cultro arrepto, 'hoc te uno quo possum' ait, 'modo, filia, in libertatem uindico.' Pectus deinde puellae transfigit, respectansque ad tribunal 'te' inquit, 'Appi, tuumque caput sanguine hoc consecro.' Clamore ad tam atrox facinus orto excitus Appius comprehendi Verginium iubet. Ille ferro quacumque ibat uiam facere, donec multitudine etiam prosequentium tuente ad portam perrexit. Icilius Numitoriusque exsangue corpus sublatum ostentant populo; scelus Appi, puellae infelicem formam, necessitatem patris deplorant. Sequentes clamitant matronae, eamne liberorum procreandorum condicionem, ea pudicitiae praemia esse?? cetera, quae in tali re muliebris dolor, quo est maestior imbecillo animo, eo miserabilia magis querentibus subicit. Virorum et maxime Icili uox tota tribuniciae potestatis ac prouocationis ad populum ereptae publicarumque indignationum erat.
 
traduzione
 
48 Il decemviro allora, pazzo di libidine, dicendo di non basarsi soltanto sugli schiamazzi di Icilio del giorno prima e sulla violenza di Verginio (di cui era stato testimone il popolo romano), ma avvalendosi anche di certe informazioni avute, afferm? di sapere per certo che durante tutta la notte si erano tenute in citt? delle riunioni con l'intento di organizzare una rivolta. Essendo quindi al corrente di quel progetto bellicoso, era sceso nel foro accompagnato da una scorta armata, certo non per usare violenza ai cittadini pacifici, ma, conformandosi alle attribuzioni della sua carica, per schiacciare chi turbava la quiete pubblica. ?Da questo momento in poi, sar? meglio non agitarsi troppo. Vai, littore,? grid? quindi, ?allontana la folla e lascia libero il passaggio al padrone perch? possa prendere la sua schiava!? Dopo che Appio ebbe rabbiosamente tuonato queste parole, la folla si disperse spontaneamente, e la ragazza rimase sola, preda dell'ingiustizia. Allora Verginio, rendendosi conto di non poter pi? contare su alcun sostegno, disse: ?Innanzitutto, Appio, ti prego di perdonare il dolore di un padre se poco fa ho inveito contro di te con molta durezza. In secondo luogo permettimi di domandare alla nutrice, qui in presenza della ragazza, come stanno le cose, cosicch? se mi si ? dato del padre e non era vero, almeno io possa andarmene con l'animo un po' pi? sollevato.? Ottenuto il permesso, prese con s? figlia e nutrice e le port? presso il tempio di Venere Cloacina, vicino alle botteghe che adesso si chiamano Nuove. L?, dopo aver afferrato un coltello da macellaio, disse: ?Cos?, figlia mia, io rivendico la tua libert? nell'unico modo a mia disposizione!? Detto questo, trafisse il petto della ragazza e quindi, rivolgendo lo sguardo al tribunale, grid?: ?Con questo sangue, Appio, io consegno te e la tua testa alla vendetta degli d?i!? L'urlo che segu? questo atroce episodio attir? l'attenzione di Appio il quale ordin? l'arresto di Verginio. Questi per?, facendosi largo col ferro dovunque passava e con la protezione della folla che gli faceva da scorta, riusc? a raggiungere la porta della citt?. Icilio e Numitorio sollevarono il corpo esanime della ragazza e lo mostrarono al popolo, lamentando la scelleratezza di Appio, la bellezza funesta di Verginia e la necessit? che aveva portato il padre a un simile gesto. Dietro di loro le urla disperate delle matrone che in lacrime si domandavano se fossero quelle le condizioni nelle quali i bambini venivano messi al mondo e se fosse quello il premio della castit?. E insieme a queste aggiungevano altre parole che il dolore infonde nelle donne in simili frangenti, un dolore tanto pi? degno di compassione quanto pi? emerge triste da un animo debole. Gli uomini, invece, e soprattutto Icilio, si richiamavano all'autorit? tribunizia, al diritto d'appello al popolo, soppresso a forza, alle manifestazioni di sdegno pubblico.
 

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