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Ovidio


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Livio
Ab urbe condita III, 50
 
originale
 
[50] Itaque missi iuniores patrum in castra, quae tum in monte Vecilio erant, nuntiant decemuiris ut omni ope ab seditione milites contineant. Ibi Verginius maiorem quam reliquerat in urbe motum exciuit. Nam praeterquam quod agmine prope quadringentorum hominum ueniens, qui ab urbe indignitate rei accensi comites ei se dederant, conspectus est, strictum etiam telum respersusque ipse cruore tota in se castra conuertit. Et togae multifariam in castris uisae maioris aliquanto quam erat speciem urbanae multitudinis fecerant. Quaerentibus quid rei esset, flens diu uocem non misit; tandem, ut iam ex trepidatione concurrentium turba constitit ac silentium fuit, ordine cuncta, ut gesta erant, exposuit. Supinas deinde tendens manus, commilitones appellans orabat ne quod scelus Ap. Claudi esset sibi attribuerent neu se ut parricidam liberum auersarentur. Sibi uitam filiae sua cariorem fuisse, si liberae ac pudicae uiuere licitum fuisset: cum uelut seruam ad stuprum rapi uideret, morte amitti melius ratum quam contumelia liberos, misericordia se in speciem crudelitatis lapsum; nec superstitem filiae futurum fuisse, nisi spem ulciscendae mortis eius in auxilio commilitonum habuisset. Illis quoque filias sorores coniugesque esse, nec cum filia sua libidinem Ap. Claudi exstinctam esse, sed quo impunitior sit eo effrenatiorem fore. Aliena calamitate documentum datum illis cauendae similis iniuriae. Quod ad se attineat, uxorem sibi fato ereptam, filiam, quia non ultra pudica uictura fuerit, miseram sed honestam mortem occubuisse; non esse iam Appi libidini locum in domo sua: ab alia uiolentia eius eodem se animo suum corpus uindicaturum quo uindicauerit filiae: ceteri sibi ac liberis suis consulerent. Haec Verginio uociferanti succlamabat multitudo nec illius dolori nec suae libertati se defuturos. Et immixti turbae militum togati, eadem illa querendo docendoque quanto uisa quam audita indigniora potuerint uideri, simul profligatam iam rem nuntiando Romae esse, insecutis qui Appium prope interemptum in exsilium abisse dicerent, perpulerunt ut ad arma conclamaretur uellerentque signa et Romam proficiscerentur. Decemuiri simul iis quae uidebant iisque quae acta Romae audierant perturbati, alius in aliam partem castrorum ad sedandos motus discurrunt. Et leniter agentibus responsum non redditur: imperium si quis inhiberet, et uiros et armatos se esse respondetur. Eunt agmine ad urbem et Auentinum insidunt, ut quisque occurrerat plebem ad repetendam libertatem creandosque tribunos plebis adhortantes. Alia uox nulla uiolenta audita est. Senatum Sp. Oppius habet. Nihil placet aspere agi; quippe ab ipsis datum locum seditioni esse. Mittuntur tres legati consulares, Sp. Tarpeius C. Iulius P. Sulpicius, qui quaererent senatus uerbis cuius iussu castra deseruissent aut quid sibi uellent qui armati Auentinum obsedissent belloque auerso ab hostibus patriam suam cepissent. Non defuit quod responderetur: deerat qui daret responsum, nullodum certo duce nec satis audentibus singulis inuidiae se offerre. Id modo a multitudine conclamatum est ut L. Valerium et M. Horatium ad se mitterent: his se daturos responsum.
 
traduzione
 
50 Per questo motivo, vennero inviati all'accampamento, situato in quel momento sul monte Vecilio, alcuni giovani senatori, che avvertirono i decemviri di impedire a tutti i costi ai soldati di sollevarsi. Ma l? Verginio fece scoppiare disordini ben pi? gravi di quelli che aveva lasciato a Roma. Non solo era stato visto arrivare con una scorta di 400 uomini che, indignati per l'ingiustizia, si erano offerti di andare con lui, ma con il coltello ancora in mano e gli schizzi di sangue sul corpo, e questo aveva attirato l'attenzione dell'intero accampamento. E poi, la vista di toghe un po' in tutti i punti del campo aveva fatto apparire il numero di civili l? presenti molto pi? alto di quanto realmente non fosse. A chi gli domandava cosa fosse accaduto, Verginio per lungo tempo non riusc? a rispondere, soffocato com'era dal pianto. Ma alla fine, quando cess? lo scompiglio della folla che a poco a poco si era venuta radunando e ci fu silenzio, Verginio raccont? l'accaduto secondo l'ordine dei fatti. Poi, alzando le mani al cielo come se stesse pregando, e rivolgendosi ai commilitoni, li supplic? di non attribuire a lui il crimine, ma a Appio Claudio, e di non respingerlo alla stregua di chi aveva ammazzato i propri figli. La vita della figlia gli sarebbe stata pi? a cuore della sua, se la ragazza avesse avuto la possibilit? di vivere libera e pura. Ma quando se l'era vista portar via come una schiava destinata allo stupro, pensando che fosse meglio esser privati dei figli dalla morte piuttosto che dall'oltraggio, la compassione lo aveva portato a commettere un atto in apparenza crudele. Non sarebbe per? sopravvissuto alla figlia, se non avesse sperato di poterne vendicare la morte con l'aiuto dei commilitoni. Anche loro avevano figlie, sorelle e mogli: la libidine di Appio non si era certo spenta insieme con sua figlia, ma sarebbe divenuta pi? sfrenata se non fosse stato punito. La disgrazia toccata a un altro avvertiva ognuno di loro che stesse in guardia da un simile sopruso. Quanto poi a lui, la moglie gliel'aveva portata via il destino, mentre la figlia, visto che non avrebbe pi? potuto vivere conservando la castit?, era andata incontro alla morte triste, ma onorata. Nella sua casa non c'era pi? posto per la libidine di Appio: da altre violenze di costui, avrebbe difeso la propria persona con lo stesso animo con cui aveva difeso la figlia. Che gli altri provvedessero quindi a se stessi e ai propri figli. Mentre Verginio urlava queste cose, la folla gridava che non avrebbe dimenticato il suo dolore, n? mancato di difendere la propria libert?. E i civili, mescolati alla massa dei soldati, ripetevano le stesse cose, insistendo su quanto pi? indegni sarebbero loro parsi i fatti se, invece di sentirseli raccontare, li avessero visti coi propri occhi, e dicendo che a Roma i decemviri avevano ormai le ore contate. Ma nel frattempo l'arrivo di altri civili con la notizia che Appio aveva quasi perso la vita ed era andato in esilio indusse gli uomini a gridare ?Alle armi?, a prendere le insegne e a partire alla volta di Roma. I decemviri allora, turbati non solo da quello che avevano sotto gli occhi ma anche da quanto si riferiva fosse successo a Roma, cominciarono a girare per il campo - uno da una parte e uno dall'altra - nel tentativo di sedare i disordini appena scoppiati. A quelli di loro che agivano con cautela non si rispondeva. Se per? qualcuno si azzardava a fare ricorso all'autorit?, gli rispondevano che loro erano uomini e che erano armati. Marciano quindi i soldati inquadrati alla volta di Roma e prendono possesso dell'Aventino, esortando ogni plebeo che incontravano a riconquistare la libert? e a rieleggere i tribuni della plebe. Non si ud? in giro nessun'altra proposta violenta. Spurio Oppio convoca il senato. Si decide di non usare alcun rigore, dato che i responsabili della sommossa erano proprio loro. Tre ex-consoli - Spurio Tarpeio, Gaio Giulio e Publio Sulpicio - vengono inviati a chiedere a nome del senato per ordine di chi avessero lasciato l'accampamento, e che cosa si prefiggessero occupando l'Aventino con le armi e abbandonando la guerra contro il nemico per catturare la propria patria. Le risposte non mancavano di certo: quel che mancava era chi avesse il c?mpito di darle, visto che non esisteva ancora un capo vero e proprio e i singoli non osavano esporsi a possibili rappresaglie. Ma dalla folla si alz? un grido unanime: che fossero mandati Marco Orazio e Lucio Valerio; a loro avrebbero dato le loro risposte.
 

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