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Ovidio


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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita III, 52
 
originale
 
[52] Per M. Duillium qui tribunus plebis fuerat certior facta plebs contentionibus adsiduis nihil transigi, in Sacrum montem ex Auentino transit, adfirmante Duillio non prius quam deseri urbem uideant curam in animos patrum descensuram; admoniturum Sacrum montem constantiae plebis scituros qua sine restituta potestate redigi in concordiam res nequeant. Via Nomentana, cui tum Ficolensi nomen fuit, profecti castra in monte Sacro locauere, modestiam patrum suorum nihil uiolando imitati. Secuta exercitum plebs, nullo qui per aetatem ire posset retractante. Prosequuntur coniuges liberique, cuinam se relinquerent in ea urbe in qua nec pudicitia nec libertas sancta esset miserabiliter rogitantes. Cum uasta Romae omnia insueta solitudo fecisset, in foro praeter paucos seniorum nemo esset, uocatis utique in senatum patribus desertum apparuisset forum, plures iam quam Horatius ac Valerius uociferabantur: 'Quid exspectabitis, patres conscripti? Si decemuiri finem pertinaciae non faciunt, ruere ac deflagrare omnia passuri estis? Quod autem istud imperium est, decemuiri, quod amplexi tenetis? Tectis ac parietibus iura dicturi estis? Non pudet lictorum uestrorum maiorem prope numerum in foro conspici quam togatorum aliorum? Quid si hostes ad urbem ueniant facturi estis? Quid si plebs mox, ubi parum secessione moueamur, armata ueniat? Occasune urbis uoltis finire imperium? Atqui aut plebs non est habenda aut habendi sunt tribuni plebis. Nos citius caruerimus patriciis magistratibus quam illi plebeiis. Nouam inexpertamque eam potestatem eripuere patribus nostris, ne nunc dulcedine semel capti ferant desiderium, cum praesertim nec nos temperemus imperiis, quo minus illi auxilii egeant.' Cum haec ex omni parte iactarentur, uicti consensu decemuiri futuros se, quando ita uideatur, in potestate patrum adfirmant. Id modo simul orant ac monent ut ipsis ab inuidia caueatur nec suo sanguine ad supplicia patrum plebem adsuefaciant.
 
traduzione
 
52 Informata da Marco Duillio, un ex-tribuno della plebe, che dagli interminabili battibecchi non veniva fuori nulla, la plebe si spost? dall'Aventino sul monte Sacro; lo stesso Duillio affermava che i patrizi non si sarebbero preoccupati fino a quando non avessero visto la citt? abbandonata. Il monte Sacro avrebbe ricordato loro quanto incrollabile fosse la volont? della plebe, e si sarebbero finalmente resi conto che il ritorno alla concordia civile non era possibile se non si ristabiliva l'autorit? dei tribuni. Partiti lungo la via Nomentana, che allora si chiamava Ficulense, si accamparono sul monte Sacro e, imitando la moderazione dei loro antenati, evitarono ogni devastazione. All'esercito tenne dietro la plebe, e nessuno tra quelli cui l'et? lo permetteva si rifiut? di andare. Li accompagnarono sino alle porte anche i figli e le mogli, che, tra i lamenti, chiedevano a chi avessero lasciato il c?mpito di difenderli in una citt? dove ormai neppure la libert? e la castit? erano sacre. A Roma lo spopolamento aveva reso la citt? una desolazione e nel foro si vedeva solo qualche vecchio. Quando, nel corso di una seduta del senato, il foro apparve ancora pi? deserto ai senatori, furono in molti - oltre a Orazio e Valerio - a esprimere il proprio malcontento. ?Che cosa state aspettando, padri coscritti? Se i decemviri persistono nella loro ostinazione, intendete tollerare che tutto si deteriori e vada in rovina? E che cos'? mai, decemviri, questo potere a cui vi aggrappate tanto? Volete dettar legge a tetti e muri? Non vi vergognate vedendo che nel foro i vostri littori sono pi? numerosi degli altri cittadini? Cosa fareste se il nemico attaccasse la citt?? Oppure se tra breve la plebe ci assalisse armi alla mano, rendendosi conto che anche con la secessione non riesce a ottenere gran che? Volete che il vostro potere finisca col crollo della citt?? Eppure bisogna, o non avere la plebe, o accettare i tribuni della plebe. Verranno meno prima a noi i magistrati patrizi che a loro quelli plebei. Quando riuscirono a strapparlo con la forza ai nostri padri, il tribunato era un potere nuovo e non ancora sperimentato. Ma ora, dopo averne assaporato una volta il fascino, sar? ancora pi? difficile per loro non desiderarlo, tanto pi? che noi non moderiamo il nostro potere, in modo che i plebei sentano meno la necessit? di un aiuto.? Dato che queste cose venivano ripetute da ogni parte, i decemviri, sopraffatti dalla volont? comune, affermarono che, se quella era giudicata la soluzione migliore, essi si sarebbero assoggettati all'autorit? dei senatori. Questa soltanto fu la loro richiesta e la loro raccomandazione: essere protetti dal risentimento popolare, perch? con il loro sangue la plebe non si abituasse a punire i senatori.
 

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