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Ovidio


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Livio
Ab urbe condita III, 55
 
originale
 
[55] Per interregem deinde consules creati L. Valerius M. Horatius, qui extemplo magistratum occeperunt. Quorum consulatus popularis sine ulla patrum iniuria nec sine offensione fuit; quidquid enim libertati plebis caueretur, id suis decedere opibus credebant. Omnium primum, cum uelut in controuerso iure esset tenerenturne patres plebi scitis, legem centuriatis comitiis tulere ut quod tributim plebes iussisset populum teneret; qua lege tribuniciis rogationibus telum acerrimum datum est. Aliam deinde consularem legem de prouocatione, unicum praesidium libertatis, decemuirali potestate euersam, non restituunt modo, sed etiam in posterum muniunt sanciendo nouam legem, ne quis ullum magistratum sine prouocatione crearet; qui creasset, eum ius fasque esset occidi, neue ea caedes capitalis noxae haberetur. Et cum plebem hinc prouocatione, hinc tribunicio auxilio satis firmassent, ipsis quoque tribunis, ut sacrosancti uiderentur, cuius rei prope iam memoria aboleuerat, relatis quibusdam ex magno interuallo caerimoniis renouarunt, et cum religione inuiolatos eos, tum lege etiam fecerunt, sanciendo ut qui tribunis plebis aedilibus iudicibus decemuiris nocuisset, eius caput Ioui sacrum esset, familia ad aedem Cereris Liberi Liberaeque uenum iret. Hac lege iuris interpretes negant quemquam sacrosanctum esse, sed eum qui eorum cui nocuerit Ioui sacrum sanciri; itaque aedilem prendi ducique a maioribus magistratibus, quod, etsi non iure fiat?noceri enim ei cui hac lege non liceat?tamen argumentum esse non haberi pro sacro sanctoque aedilem; tribunos uetere iure iurando plebis, cum primum eam potestatem creauit, sacrosanctos esse. Fuere qui interpretarentur eadem hac Horatia lege consulibus quoque et praetoribus, quia eisdem auspiciis quibus consules crearentur, cautum esse: iudicem enim consulem appellari. Quae refellitur interpretatio, quod iis temporibus nondum consulem iudicem sed praetorem appellari mos fuerit. Hae consulares leges fuere. Institutum etiam ab iisdem consulibus ut senatus consulta in aedem Cereris ad aediles plebis deferrentur, quae antea arbitrio consulum supprimebantur uitiabanturque. M. Duillius deinde tribunus plebis plebem rogauit plebesque sciuit qui plebem sine tribunis reliquisset, quique magistratum sine prouocatione creasset, tergo ac capite puniretur. Haec omnia ut inuitis, ita non aduersantibus patriciis transacta, quia nondum in quemquam unum saeuiebatur.
 
traduzione
 
55 Poi, tramite l'interr?, vennero eletti consoli Lucio Valerio e Marco Orazio che entrarono immediatamente in carica. Il loro consolato, di orientamento popolare, non fece alcuna ingiustizia nei riguardi dei patrizi, tuttavia provoc? il loro malcontento. Infatti, qualunque cosa si facesse per la libert? della plebe, essi credevano che diminuisse il loro potere. Prima di tutto, poich? era controverso giuridicamente se i senatori dovessero attenersi ai decreti della plebe, i consoli presentarono nei comizi centuriati una legge in base alla quale ci? che la plebe aveva approvato nei comizi tributi vincolava tutta la popolazione. Questa legge diede alle richieste dei tribuni un'arma assai temibile. Quanto poi all'altra legge - quella cio? relativa al diritto d'appello, unica garanzia di libert? abolita dai decemviri -, non solo fu ripristinata, ma resa pi? efficace per il futuro con una nuova legge in base alla quale non sarebbe stato pi? possibile nominare i magistrati non soggetti al diritto d'appello. Chiunque avesse violato tale disposizione, avrebbe potuto essere ucciso secondo le leggi umane e divine, e per quel crimine non vi sarebbe stata la pena di morte. Dopo aver fornito alla plebe sufficienti garanzie sia col diritto d'appello sia con l'aiuto dei tribuni, i consoli, nell'interesse dei tribuni stessi, ristabilirono il principio della loro inviolabilit?, cosa di cui ormai si era persa memoria, riattivando le cerimonie rituali abbandonate da lungo tempo: li resero infatti inviolabili non solo sul piano religioso ma anche con una legge, in base alla quale coloro che avessero recato danno ai tribuni della plebe, agli edili, e ai giudici decemviri sarebbero stati maledetti e affidati alla vendetta di Giove e i loro beni sarebbero stati venduti al tempio di Cerere, Libero e Libera. Oggi i giuristi sostengono che in base a questa legge nessuno era veramente sacro e inviolabile, ma che essa semplicemente sanciva la maledizione per chi avesse oltraggiato una delle predette autorit?. Un edile poteva essere arrestato e imprigionato da magistrati di rango superiore. Questa procedura, pur essendo illegittima (infatti danneggiava chi, in base a detta legge, non era lecito danneggiare), tuttavia costituisce la prova che un edile non era sacro e inviolabile. Invece i tribuni lo erano, in base all'antico giuramento fatto dalla plebe quando per la prima volta cre? quella magistratura. Ma ci fu pure chi argoment? che per la stessa legge Orazia anche consoli e pretori godevano della medesima protezione, visto che questi ultimi venivano eletti con gli stessi auspici consultati per la nomina dei consoli. E infatti un tempo i consoli erano chiamati giudici. Tale tesi ? per? confutata dal fatto che in quel periodo non c'era ancora l'abitudine di chiamare giudice il console, bens? pretore. Furono queste le leggi proposte dai consoli, i quali stabilirono anche che i decreti del senato venissero affidati agli edili della plebe nel tempio di Cerere, mentre in passato venivano occultati o falsificati secondo l'arbitrio dei consoli. In s?guito il tribuno della plebe Marco Duillio propose alla plebe, e la plebe lo approv?, un provvedimento in base al quale chi avesse lasciato la plebe senza tribuni o avesse eletto dei magistrati il cui potere non fosse limitato dal diritto d'appello veniva condannato alla fustigazione o alla decapitazione. Tutte queste misure, pur non avendo ottenuto il consenso dei patrizi, vennero comunque approvate senza incontrare opposizione da parte loro, perch? fino a quel momento non si infieriva ancora contro nessuno in particolare.
 

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