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Ovidio


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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita III, 58
 
originale
 
[58] C. Claudius, qui perosus decemuirorum scelera et ante omnes fratris filii superbiae infestus Regillum, antiquam in patriam, se contulerat, is magno iam natu cum ad pericula eius deprecanda redisset cuius uitia fugerat, sordidatus cum gentilibus clientibusque in foro prensabat singulos orabatque ne Claudiae genti eam inustam maculam uellent ut carcere et uinculis uiderentur digni. Virum honoratissimae imaginis futurum ad posteros, legum latorem conditoremque Romani iuris, iacere uinctum inter fures nocturnos ac latrones. Auerterent ab ira parumper ad cognitionem cogitationemque animos, et potius unum tot Claudiis deprecantibus condonarent quam propter unius odium multorum preces aspernarentur. Se quoque id generi ac nomini dare nec cum eo in gratiam redisse, cuius aduersae fortunae uelit succursum. Virtute libertatem reciperatam esse: clementia concordiam ordinum stabiliri posse. Erant quos moueret sua magis pietate quam eius pro quo agebat causa; sed Verginius sui potius ut misererentur orabat filiaeque, nec gentis Claudiae regnum in plebem sortitae sed necessariorum Verginiae trium tribunorum preces audirent, qui ad auxilium plebis creati ipsi plebis fidem atque auxilium implorarent. Iustiores hae lacrimae uidebantur. Itaque spe incisa, priusquam prodicta dies adesset, Appius mortem sibi consciuit. Subinde arreptus a P. Numitorio Sp. Oppius, proximus inuidiae, quod in urbe fuerat cum iniustae uindiciae a collega dicerentur. Plus tamen facta iniuria Oppio quam non prohibita inuidiae fecit. Testis productus, qui septem et uiginti enumeratis stipendiis, octiens extra ordinem donatus donaque ea gerens in conspectu populi, scissa ueste, tergum laceratum uirgis ostendit, nihilum deprecans quin si quam suam noxam reus dicere posset, priuatus iterum in se saeuiret. Oppius quoque ductus in uincula est, et ante iudicii diem finem ibi uitae fecit. Bona Claudi Oppique tribuni publicauere. Collegae eorum exsilii causa solum uerterunt; bona publicata sunt. Et M. Claudius, adsertor Verginiae, die dicta damnatus, ipso remittente Verginio ultimam poenam dimissus Tibur exsulatum abiit, manesque Verginiae, mortuae quam uiuae felicioris, per tot domos ad petendas poenas uagati, nullo relicto sonte tandem quieuerunt.
 
traduzione
 
58 Gaio Claudio, aborrendo i crimini dei decemviri e particolarmente ostile all'arroganza del nipote, si era ritirato a Regillo, luogo d'origine della sua famiglia. Pur essendo ormai avanti negli anni, era tornato a Roma per tentare di salvare proprio l'uomo i cui vizi lo avevano indotto a fuggire. Accompagnato da familiari e clienti, andando in giro per il foro vestito a lutto, fermava uno per uno i cittadini e li supplicava di non permettere che alla famiglia Claudia toccasse il marchio infamante di aver meritato l'arresto e la detenzione. Un uomo la cui immagine sarebbe stata fatta oggetto dei pi? alti onori da parte delle generazioni future, il legislatore e il fondatore del diritto romano, in quel momento giaceva incatenato tra ladri notturni e tagliagole comuni. Per il momento rivolgessero l'animo dall'ira alla comprensione e alla riflessione e, di fronte alle preghiere di tanti Claudi, ne perdonassero uno solo, piuttosto che respingere un numero cos? alto di suppliche, esclusivamente per l'odio verso quell'uno. Claudio aggiunse che lui stesso compiva quel gesto per il buon nome della famiglia, ma che non si era riconciliato con l'uomo al quale cercava di portare soccorso nella mala sorte. Col coraggio era stata riconquistata la libert?, con l'indulgenza si poteva ristabilire l'armonia tra le classi sociali. Alcuni furono toccati pi? dal suo attaccamento alla famiglia che dalla causa di colui per il quale si stava adoperando. Ma Verginio li invitava ad aver compassione piuttosto di lui e di sua figlia, pregandoli di dare ascolto pi? che alle suppliche della famiglia Claudia, che si era arrogata il diritto di tiranneggiare la plebe, a quelle dei parenti di Verginia, e cio? i tre tribuni che, eletti per sostenere la plebe, ora dalla plebe imploravano sostegno e protezione. Alla gente sembr? che queste lacrime fossero pi? giuste. Persa quindi ogni speranza, Appio si suicid? prima che arrivasse il giorno fissato per il processo. S?bito dopo Publio Numitorio fece arrestare Spurio Oppio, il pi? odiato dei decemviri dopo Appio, perch? presente in citt? quando il collega aveva pronunciato l'ingiusta sentenza di schiavit? provvisoria. A dir la verit? provocarono il risentimento popolare nei confronti di Oppio pi? i misfatti commessi che quelli che non aveva impedito. Venne prodotto un teste che pass? in rassegna le ventisette campagne militari a cui aveva partecipato meritandosi otto volte decorazioni speciali; dopo aver esibito queste decorazioni davanti al popolo, si strapp? la tunica mostrando la schiena straziata dalla frusta e dichiar? che, se l'imputato era in grado di menzionare qualche sua colpa, scatenasse di nuovo, bench? ora privato cittadino, la sua rabbia su di lui. Cos? anche Oppio fin? in carcere, dove si tolse la vita prima del giorno del processo. I tribuni confiscarono le propriet? di Claudio e di Oppio. Gli ex-colleghi di decemvirato andarono in esilio e i loro beni vennero confiscati. Anche Marco Claudio, l'uomo che aveva rivendicato la propriet? di Verginia, fu processato e condannato. Essendogli stata risparmiata la pena di morte per l'intercessione dello stesso Verginio, fu rilasciato e and? in esilio a Tivoli. Cos? i Mani di Verginia - certo pi? fortunata da morta che da viva -, dopo aver vagato tra tante case per chiedere vendetta, ora che nessun colpevole era rimasto impunito, ebbero finalmente pace.
 

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