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Livio
Ab urbe condita III, 70
 
originale
 
[70] In exercitu Romano cum duo consules essent potestate pari, quod saluberrimum in administratione magnarum rerum est, summa imperii concedente Agrippa penes collegam erat; et praelatus ille facilitati submittentis se comiter respondebat communicando consilia laudesque et aequando imparem sibi. In acie Quinctius dextrum cornu, Agrippa sinistrum tenuit; Sp. Postumio Albo legato datur media acies tuenda; legatum alterum P. Sulpicium equitibus praeficiunt. Pedites ab dextro cornu egregie pugnauere, haud segniter resistentibus Volscis. P. Sulpicius per mediam hostium aciem cum equitatu perrupit. Vnde cum eadem reuerti posset ad suos, priusquam hostis turbatos ordines reficeret terga impugnare hostium satius uisum est; momentoque temporis in auersam incursando aciem ancipiti terrore dissipasset hostes, ni suo proprio eum proelio equites Volscorum et Aequorum exceptum aliquamdiu tenuissent. Ibi uero Sulpicius negare cunctandi tempus esse, circumuentos interclusosque ab suis uociferans, ni equestre proelium conixi omni ui perficerent; nec fugare equitem integrum satis esse: conficerent equos uirosque, ne quis reueheretur inde ad proelium aut integraret pugnam; non posse illos resistere sibi, quibus conferta peditum acies cessiset. Haud surdis auribus dicta. Impressione una totum equitatum fudere, magnam uim ex equis praecipitauere, ipsos equosque spiculis confodere. Is finis pugnae equestris fuit. Tunc adorti peditum aciem, nuntios ad consules rei gestae mittunt, ubi iam inclinabatur hostium acies. Nuntius deinde et uincentibus Romanis animos auxit et referentes gradum perculit Aequos. In media primum acie uinci coepti, qua permissus equitatus turbauerat ordines; sinistrum deinde cornu ab Quinctio consule pelli coeptum; in dextro plurimum laboris fuit. Ibi Agrippa, aetate uiribusque ferox, cum omni parte pugnae melius rem geri quam apud se uideret, arrepta signa ab signiferis ipse inferre, quaedam iacere etiam in confertos hostes coepit; cuius ignominiae metu concitati milites inuasere hostem. Ita aequata ex omni parte uictoria est. Nuntius tum a Quinctio uenit uictorem iam se imminere hostium castris; nolle inrumpere antequam sciat debellatum et in sinistro cornu esse: si iam fudisset hostes, conferret ad se signa, ut simul omnis exercitus praeda potiretur. Victor Agrippa cum mutua gratulatione ad uictorem collegam castraque hostium uenit. Ibi paucis defendentibus momentoque fusis, sine certamine in munitiones inrumpunt, praedaque ingenti compotem exercitum suis etiam rebus reciperatis quae populatione agrorum amissae erant reducunt. Triumphum nec ipsos postulasse nec delatum iis ab senatu accipio, nec traditur causa spreti aut non sperati honoris. Ego quantum in tanto interuallo temporum conicio, cum Valerio atque Horatio consulibus qui praeter Volscos et Aequos Sabini etiam belli perfecti gloriam pepererant negatus ab senatu triumphus esset, uerecundiae fuit pro parte dimidia rerum consulibus petere triumphum, ne etiamsi impetrassent magis hominum ratio quam meritorum habita uideretur.
 
traduzione
 
70 Bench? nell'esercito romano i due consoli avessero la stessa autorit?, tuttavia in quell'occasione Agrippa lasci? il comando supremo al collega, il che ? molto utile quando si devono prendere decisioni di estrema importanza. E il prescelto Tito Quinzio ricambi? il generoso gesto comunicando al collega, che si era posto volontariamente in sottordine, i propri piani, e condividendone i meriti, e considerandolo a lui pari ancorch? ormai inferiore di grado. Nello schieramento sul campo Quinzio tenne l'ala destra e Agrippa la sinistra. Al luogotenente Spurio Postumio Albo fu affidato il centro, a capo della cavalleria fu posto Publio Sulpicio, l'altro luogotenente. All'ala destra la fanteria si batt? con estremo accanimento, ma la resistenza dei Volsci non fu da meno. Publio Sulpicio fece breccia con la cavalleria nel centro dello schieramento nemico. Avrebbe potuto rientrare nei ranghi dalla stessa parte e prima che il nemico avesse avuto il tempo di riformare le linee sconvolte: invece ritenne pi? opportuno prendere i Volsci alle spalle. Caricandoli da dietro avrebbe disperso in un attimo i nemici atterriti da due attacchi simultanei se i cavalieri dei Volsci e degli Equi, impegnandolo separatamente, non lo avessero contenuto per un po'. Ma in quell'istante Sulpicio grid? che non c'era pi? tempo da perdere e che sarebbero stati circondati e tagliati fuori dal resto dei compagni, se con tutte le loro forze non avessero concluso quello scontro tra cavallerie. Non sarebbe stato sufficiente mettere in fuga i nemici permettendo che ne uscissero incolumi: dovevano distruggere uomini e cavalli, in maniera tale che nessuno potesse rituffarsi nello scontro e dare nuovo vigore alla battaglia. I nemici non potevano certo tener loro testa, se prima la schiera compatta dei fanti aveva dovuto cedere al loro sfondamento. Non aveva parlato a sordi. Con un'unica carica i Romani sbaragliarono l'intera cavalleria nemica: dopo avere disarcionato moltissimi cavalieri, li trafissero insieme ai cavalli, servendosi delle lance. Fu questa la conclusione della battaglia equestre. Dopo essersi s?bito buttati all'assalto della fanteria, mandarono dei messaggeri ai consoli per riferir loro del successo ottenuto, mentre il fronte nemico gi? stava per cedere. La notizia aument? l'ardire dei Romani che stavano avendo la meglio, e semin? lo scompiglio tra le fila degli Equi in ritirata. La loro rotta cominci? nel centro dello schieramento, nel punto in cui l'irruzione della cavalleria aveva sconvolto le linee. Poi per? anche l'ala sinistra cominci? a cedere di fronte al console Quinzio. Sul versante destro lo sforzo fu tremendo. Qui il giovane e prestante Agrippa, vedendo che la battaglia ovunque aveva esiti migliori che dalla sua parte, strapp? le insegne ai vessilliferi e cominci? a brandirle lui stesso, gettandone anche qualcuna tra le linee compatte dei nemici. Allora i suoi uomini, spinti dal timore della vergogna, si rovesciarono sugli avversari, e cos? la vittoria fu uguale in ogni settore. In quel momento arriv? da Quinzio la notizia che egli, ormai vincitore, stava gi? minacciando l'accampamento nemico, ma non voleva assaltarlo prima di aver ricevuto la notizia che anche all'ala sinistra le cose erano finite per il meglio. Se Agrippa aveva gi? sbaragliato i nemici, allora che andasse ad unire le truppe alle sue, perch? nel medesimo momento l'intero esercito potesse mettere le mani sul bottino. E il vittorioso Agrippa raggiunse il collega vittorioso di fronte all'accampamento nemico e l? ci fu uno scambio di congratulazioni. Messi in fuga in un baleno i pochi rimasti a presidiare il campo, i due consoli senza far uso delle armi irrompono nelle trincee e riconducono in patria l'esercito carico di un ingente bottino, e che inoltre aveva recuperato i propri beni andati perduti durante il saccheggio delle campagne. Da quanto sono riuscito ad appurare, n? i consoli richiesero il trionfo n? il senato lo decret?; non ci viene tramandato il motivo per il quale un simile riconoscimento fu dai vincitori disdegnato o non sperato. Per quanto posso arguire, dopo cos? tanto tempo, siccome il trionfo era stato negato dal senato ai consoli Valerio e Orazio i quali, oltre ad aver sconfitto Volsci ed Equi, si erano coperti di gloria anche nella guerra contro i Sabini, Agrippa e Quinzio si vergognarono di chiederlo per un'impresa ch'era met? di quella; se lo avessero ottenuto, poteva sembrare che si fosse tenuto conto pi? degli uomini che dei meriti.
 

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