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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita IV, 46
 
originale
 
[46] Dilectum haberi non ex toto passim populo placuit; decem tribus sorte ductae sunt; ex iis scriptos iuniores duo tribuni ad bellum duxere. Coepta inter eos in urbe certamina cupiditate eadem imperii multo impensius in castris accendi; nihil sentire idem, pro sententia pugnare; sua consilia velle, sua imperia sola rata esse; contemnere in vicem et contemni, donec castigantibus legatis tandem ita comparatum est ut alternis diebus summam imperii haberent. Quae cum allata Romam essent, dicitur Q. Seruilius, aetate et usu doctus, precatus ab dis immortalibus ne discordia tribunorum damnosior rei publicae esset quam ad Veios fuisset, et velut haud dubia clade imminente, institisse filio ut milites scriberet et arma pararet. Nec falsus uates fuit. Nam ductu L. Sergi, cuius dies imperii erat, loco iniquo sub hostium castris, cum quia simulato metu receperat se hostis ad vallum, spes uana expugnandi castra eo traxisset, repentino impetu Aequorum per supinam vallem fusi sunt, multique in ruina maiore quam fuga oppressi obtruncatique; castraque eo die aegre retenta, postero die circumfusis iam magna ex parte hostibus per auersam portam fuga turpi deseruntur. Duces legatique et quod circa signa roboris de exercitu fuit Tusculum petiere: palati alii per agros passim multis itineribus maioris quam accepta erat cladis nuntii Romam contenderunt. Minus trepidationis fuit, quod euentus timori hominum congruens fuerat, et quod subsidia quae respicerent in re trepida praeparata erant ab tribuno militum. Iussuque eiusdem per minores magistratus sedato in urbe tumultu, speculatores propere missi nuntiavere Tusculi duces exercitumque esse, hostem castra loco non movisse. Et quod plurimum animorum fecit, dictator ex senatus consulto dictus Q. Seruilius Priscus, vir cuius prouidentiam in re publica cum multis aliis tempestatibus ante experta civitas erat, tum euentu eius belli, quod uni certamen tribunorum suspectum ante rem male gestam fuerat. Magistro equitum creato, a quo ipse tribuno militum dictator erat dictus, filio suo?ut tradidere quidam; nam alii Ahalam Seruilium magistrum equitum eo anno fuisse scribunt,?nouo exercitu profectus ad bellum, accitis qui Tusculi erant, duo milia passuum ab hoste locum castris cepit.
 
traduzione
 
46 Si decise di non organizzare una leva militare che coinvolgesse tutta la popolazione; furono estratte a sorte solo dieci trib?, all'interno delle quali i due tribuni scelsero i pi? giovani e li condussero a combattere. Gli attriti sorti in citt? tra i tribuni si riaccesero nell'accampamento per la stessa, insaziabile sete di comando. Non erano d'accordo su nulla; lottavano per far prevalere la propria opinione; ciascuno esigeva che solo i suoi piani e i suoi ordini fossero approvati. Si disprezzavano a vicenda. Finch?, dopo una reprimenda dei loro luogotenenti, decisero di esercitare il supremo comando a giorni alterni. Quando queste notizie arrivarono a Roma, si dice che Quinto Servilio, ammaestrato dall'et? e dall'esperienza, abbia implorato gli d?i immortali perch? la discordia dei tribuni non fosse tanto dannosa per la repubblica quanto lo era stata a Veio. E come se una disfatta imminente fosse ormai certa, insistette con il figlio perch? arruolasse dei soldati e preparasse le armi. Non fu cattivo profeta. Infatti, quando i Romani agli ordini di Lucio Sergio, a cui quel giorno toccava il comando, si vennero a trovare in una posizione svantaggiosa sotto l'accampamento nemico, dove li aveva trascinati la speranza infondata di espugnarlo - visto che gli avversari si erano ritirati al di l? della palizzata di protezione fingendo di essere in preda al panico -, un attacco improvviso degli Equi li ricacci? gi? lungo il pendio di una valle. Molti furono raggiunti e massacrati mentre, pi? che fuggire, ruzzolavano verso il basso. Quel giorno riuscirono a stento a difendere l'accampamento, mentre quello successivo, ormai quasi circondati dai nemici, lo abbandonarono fuggendo vergognosamente attraverso la porta sul lato opposto. I comandanti con i luogotenenti e le forze rimaste abbarbicate alle insegne si diressero a Tuscolo. Altri, dopo essersi dispersi per le campagne, per vie diverse raggiunsero Roma, portando la notizia di una sconfitta maggiore di quella subita. La reazione fu per? pi? contenuta del previsto, giacch? tutti erano preparati al disastro e le riserve su cui contare in una situazione di emergenza erano gi? state preparate dal tribuno militare. Per disposizione di quest'ultimo, i magistrati di rango inferiore riportarono l'ordine in citt?, e gli osservatori mandati in gran fretta tornarono con la notizia che i comandanti e l'esercito erano a Tuscolo e che il nemico non aveva spostato l'accampamento. Quello che per? pi? di ogni altra cosa riusc? a infondere coraggio, fu la nomina a dittatore, per decreto del senato, di Quinto Servilio Prisco, uomo di cui il paese aveva potuto apprezzare la lungimiranza gi? in molte altre passate circostanze, ma anche in occasione di quella guerra, perch? soltanto lui aveva previsto in anticipo i pessimi risultati della rivalit? tra i tribuni. Dopo aver nominato maestro della cavalleria il figlio, dal quale - quando questi era tribuno militare - era stato proclamato dittatore (? questa la tesi di alcuni storici, altri scrivono che quell'anno fu Servilio Aala maestro della cavalleria) Quinto Servilio part? per la guerra con un nuovo esercito e, fatti venire gli uomini che si trovavano a Tuscolo, pose il campo a due miglia dal nemico.
 

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