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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita IV, 58
 
originale
 
[58] Eo anno quia tempus indutiarum cum Veiente populo exierat, per legatos fetialesque res repeti coeptae. Quibus venientibus ad finem legatio Veientium obvia fuit. Petiere ne priusquam ipsi senatum Romanum adissent, Veios iretur. Ab senatu impetratum, quia discordia intestina laborarent Veientes, ne res ab iis repeterentur; tantum afuit ut ex incommodo alieno sua occasio peteretur. Et in Volscis accepta clades amisso verrugine praesidio; ubi tantum in tempore fuit momenti ut cum precantibus opem militibus, qui ibi a Volscis obsidebantur, succurri si maturatum esset potuisset, ad id venerit exercitus subsidio missus ut ab recenti caede palati ad praedandum hostes opprimerentur. Tarditatis causa non in senatu magis fuit quam tribunis, qui, quia summa vi restari nuntiabatur, parum cogitauerunt nulla virtute superari humanarum virium modum. Fortissimi milites non tamen nec vivi nec post mortem inulti fuere. Insequenti anno, P. et Cn. Corneliis Cossis Num. Fabio Ambusto L. Valerio Potito tribunis militum consulari potestate, Veiens bellum motum ob superbum responsum Veientis senatus, qui legatis repetentibus res, ni facesserent propere urbe finibusque, daturos quod Lars Tolumnius dedisset responderi iussit. Id patres aegre passi decreuere ut tribuni militum de bello indicendo Veientibus primo quoque die ad populum ferrent. Quod ubi primo promulgatum est, fremere iuventus nondum debellatum cum Volscis esse; modo duo praesidia occidione occisa, cetera cum periculo retineri; nullum annum esse quo non acie dimicetur; et tamquam paeniteat laboris, novum bellum cum finitimo populo et potentissimo parari qui omnem Etruriam sit concitaturus. Haec sua sponte agitata insuper tribuni plebis accendunt; maximum bellum patribus cum plebe esse dictitant; eam de industria vexandam militia trucidandamque hostibus obici; eam procul urbe haberi atque ablegari, ne domi per otium memor libertatis coloniarum aut agri publici aut suffragii libere ferendi consilia agitet. Prensantesque veteranos stipendia cuiusque et volnera ac cicatrices numerabant, quid iam integri esset in corpore loci ad nova volnera accipienda, quid super sanguinis, quod dari pro re publica posset rogitantes. Haec cum in sermonibus contionibusque interdum agitantes auertissent plebem ab suscipiendo bello, profertur tempus ferundae legis quam si subiecta invidiae esset antiquari apparebat.
 
traduzione
 
58 In quell'anno, poich? era scaduto il termine della tregua col popolo dei Veienti, si chiese soddisfazione tramite gli ambasciatori e i feziali. Quando questi arrivarono al confine, and? loro incontro una delegazione di Veienti. Costoro chiesero che non si andasse a Veio prima che essi si fossero presentati di fronte al senato romano. E il senato, poich? scontri intestini travagliavano i Veienti, concesse che non si richiedesse loro alcun risarcimento: tanto si era lontani dal profittare delle disgrazie altrui. Ma nel paese dei Volsci i Romani subirono una sconfitta: la perdita del presidio di Verrugine. In quell'occasione ebbe un peso decisivo la mancanza di tempestivit?: si sarebbero potute aiutare le truppe che, assediate dai Volsci, chiedevano soccorso, se si fosse intervenuti in fretta; l'esercito inviato a dare manforte arriv? giusto in tempo per sorprendere i nemici sparpagliati a raccogliere prede, a massacro gi? concluso. Responsabili del ritardo furono, pi? che il senato, i tribuni: essendo stato loro riferito che gli assediati resistevano strenuamente, non tennero presente che non esiste valore capace di andare oltre il limite della resistenza umana. Ma quegli eroici combattenti non rimasero invendicati, n? da vivi n? dopo la morte. L'anno successivo, che vide come tribuni militari con potere consolare Publio e Gneo Cornelio Cosso, Numerio Fabio Ambusto e Lucio Valerio Potito, venne dichiarata guerra a Veio, a s?guito dell'arrogante risposta data dal senato di quella citt?, il quale, agli ambasciatori che chiedevano soddisfazione, ordin? di rispondere che, se i Romani non se ne fossero andati al pi? presto dalla citt? e dal territorio di Veio, avrebbero dato loro ci? che Larte Tolumnio aveva gi? dato ai loro predecessori. I senatori si indignarono e ingiunsero ai tribuni militari di proporre al pi? presto al popolo di dichiarare guerra ai Veienti. Appena la proposta fu resa nota, i giovani cominciarono a mormorare, lamentandosi che la guerra con i Volsci non era ancora finita; che pochi giorni prima erano stati annientati due presidi, mentre gli altri venivano mantenuti ancora, ma a prezzo di continui rischi; che non c'era anno in cui non si dovesse scendere in campo, e, come se non fossero bastati i problemi gi? esistenti, ecco che si dava inizio a una nuova guerra con uno dei popoli pi? potenti dei dintorni, che sicuramente avrebbe aizzato contro di loro l'intera Etruria. I tribuni della plebe esasperarono ancor pi? la tensione sorta spontaneamente: essi andavano dicendo che la guerra pi? grande era quella condotta dai patrizi contro la plebe, a bella posta vessata dal servizio militare e esposta a farsi trucidare dal nemico; la tenevano lontana da Roma, per evitare che nella pace, memore della libert? e delle colonie, si agitasse pensando all'agro pubblico e a libere elezioni. Prendendo i veterani, enumeravano le campagne militari, le ferite e le cicatrici di ciascuno di loro, domandando quale parte del corpo era ancora integra per ricevere nuove ferite e quanto sangue potessero ancora versare per la repubblica. Poich?, con questi argomenti, ripetuti nei loro discorsi e nei loro comizi, i tribuni erano riusciti a dissuadere la plebe dall'intraprendere un nuovo conflitto, la proposta di legge sull'entrata in guerra fu rinviata, perch? sembrava destinata a essere respinta se fosse stata esposta all'ostilit? popolare.
 

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