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Ovidio


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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita V, 6
 
originale
 
[6] Si, mediusfidius, ad hoc bellum nihil pertineret, ad disciplinam certe militiae plurimum intererat, insuescere militem nostrum non solum parata uictoria frui, sed si etiam res lentior sit, pati taedium et quamuis serae spei exitum exspectare et si non sit aestate perfectum bellum, hiemem opperiri nec sicut aestiuas aues statim autumno tecta ac recessum circumspicere. Obsecro uos, uenandi studium ac uoluptas homines per niues ac pruinas in montes siluasque rapit: belli necessitatibus eam patientiam non adhibebimus quam uel lusus ac uoluptas elicere solet? Adeone effeminata corpora militum nostrorum esse putamus, adeo molles animos, ut hiemem unam durare in castris, abesse ab domo non possint? Vt, tamquam nauale bellum tempestatibus captandis et obseruando tempore anni gerant, non aestus, non frigora pati possint? Erubescant profecto, si quis eis haec obiciat, contendantque et animis et corporibus suis uirilem patientiam inesse, et se iuxta hieme atque aestate bella gerere posse, nec se patrocinium mollitiae inertiaeque mandasse tribunis, et meminisse hanc ipsam potestatem non in umbra nec in tectis maiores suos creasse. Haec uirtute militum uestrorum, haec Romano nomine sunt digna, non Veios tantum nec hoc bellum intueri quod instat, sed famam et ad alia bella et ad ceteros populos in posterum quaerere. An mediocre discrimen opinionis secuturum ex hac re putatis, utrum tandem finitimi populum Romanum eum esse putent cuius si qua urbs primum illum breuissimi temporis sustinuerit impetum, nihil deinde timeat, an hic sit terror nominis nostri ut exercitum Romanum non taedium longinquae oppugnationis, non uis hiemis ab urbe circumsessa semel amouere possit, nec finem ullum alium belli quam uictoriam nouerit, nec impetu potius bella quam perseuerantia gerat? Quae in omni quidem genere militiae, maxime tamen in obsidendis urbibus necessaria est, quarum plerasque munitionibus ac naturali situ inexpugnabiles fame sitique tempus ipsum uincit atque expugnat,?sicut Veios expugnabit, nisi auxilio hostibus tribuni plebis fuerint, et Romae inuenerint praesidia Veientes quae nequiquam in Etruria quaerunt. An est quicquam quod Veientibus optatum aeque contingere possit quam ut seditionibus primum urbs Romana, deinde uelut ex contagione castra impleantur? At hercule apud hostes tanta modestia est ut non obsidionis taedio, non denique regni, quicquam apud eos nouatum sit, non negata auxilia ab Etruscis inritauerint animos; morietur enim extemplo quicumque erit seditionis auctor, nec cuiquam dicere ea licebit quae apud uos impune dicuntur. Fustuarium meretur, qui signa relinquit aut praesidio decedit: auctores signa relinquendi et deserendi castra non uni aut alteri militi sed uniuersis exercitibus palam in contione audiuntur; adeo, quidquid tribunus plebi loquitur, etsi prodendae patriae dissoluendae rei publicae est, adsuestis, Quirites, audire et dulcedine potestatis eius capti quaelibet sub ea scelera latere sinitis. Reliquum est ut quae hic uociferantur, eadem in castris et apud milites agant et exercitus corrumpant ducibusque parere non patiantur, quoniam ea demum Romae libertas est, non senatum, non magistratus, non leges, non mores maiorum, non instituta patrum, non disciplinam uereri militiae."
 
traduzione
 
6 Se anche, parola mia, non avesse nulla a che vedere con questa guerra, sarebbe certo molto utile per la disciplina militare abituare i nostri soldati non soltanto ad approfittare di una vittoria a portata di mano, ma ugualmente (nel caso di campagne prolungate) a sopportarne la noia, ad aspettare che si concretizzino le speranze anche nel caso debbano tardare a realizzarsi, e ancora ad attendere l'inverno qualora la guerra non venga portata a compimento entro l'estate e a non cercare s?bito un riparo e un nido, come fanno gli uccelli di passo quando arriva l'autunno. Chiedo a voi, di grazia: la passione per la caccia e il piacere che ne deriva trascinano gli uomini sui monti e nei boschi coperti di neve e ghiaccio. Possibile che nelle necessit? della guerra non si riesca a ricorrere a quella capacit? di sopportazione che perfino il puro divertimento e il piacere riescono a suscitare? Dunque riteniamo i fisici dei nostri soldati cos? delicati e i loro animi cos? deboli da non essere in grado di resistere a un solo inverno in un accampamento, alla lontananza dalla famiglia? O crediamo che si regolino come se si trattasse di una guerra per mare, spiando le condizioni atmosferiche e facendo attenzione alla stagione propizia, visto che non riescono a sopportare n? il caldo n? il freddo? Arrossirebbero di sicuro se qualcuno rinfacciasse loro queste cose e protesterebbero dicendo di avere doti di sopportazione fisica e mentale degne di veri uomini, di poter combattere tanto d'estate quanto d'inverno, di non aver affidato ai tribuni l'incarico di difendere il loro lassismo e la loro pigrizia, e di ricordarsi benissimo che i loro padri avevano creato quello stesso potere tribunizio non certo all'ombra o al riparo delle pareti domestiche. Degno della virt? dei vostri soldati e del nome di Roma ? invece il non guardare esclusivamente a Veio e a questa guerra che incalza, ma puntare a una fama che duri nei giorni a venire per altre guerre e presso gli altri popoli. Credete forse che da questa impresa nascer? una differenza trascurabile di stima nei nostri confronti, se le genti confinanti giudicheranno il carattere del popolo romano tale che una qualche citt?, dopo averne sostenuto il primo e brevissimo assalto, non abbia pi? nulla da temere, o se, invece, il nostro nome incuter? terrore, nella convinzione che l'esercito romano non abbandona l'assedio di una citt? n? per il lungo trascinarsi dell'assedio stesso n? per l'infuriare dell'inverno, e non conosce altro modo di porre fine a una guerra se non con la vittoria e combatte con tenacia non inferiore allo slancio? Caratteristiche queste che risultano necessarie in ogni tipo di campagna militare e in particolare negli assedi delle citt?, che essendo nella maggior parte dei casi inespugnabili per la posizione naturale in cui si trovano e per le opere di fortificazione, di solito vengono vinte o espugnate dal tempo con la fame e con la sete - e il tempo espugner? anche Veio, se i tribuni della plebe non si metteranno dalla parte dei nemici, e se i Veienti non troveranno a Roma quegli appoggi che invano cercano in Etruria. O forse potrebbe succedere qualcosa di pi? gradito ai Veienti che il diffondersi di una serie di disordini scoppiati prima a Roma e quindi diffusi a mo' di contagio all'interno dell'accampamento? Ma, per Ercole, presso i nostri nemici regna un tale senso di disciplina che n? la stanchezza per l'assedio in corso, n? l'insofferenza nei confronti della monarchia li hanno spinti ad introdurre delle innovazioni, n? tantomeno il mancato invio di rinforzi da parte degli Etruschi ne ha irritato gli animi. Infatti presso i Veienti viene immediatamente condannato a morte chiunque si faccia promotore di disordini e non ? concesso a nessuno dire quelle cose che presso di voi si dicono con la massima impunit?. A chi diserta o lascia il campo viene inflitta la pena di morte a bastonate. Costoro che invece istigano non uno o due soldati, ma eserciti interi a disertare e a lasciare il campo vengono ascoltati liberamente in assemblea. A tal punto, o Quiriti, siete avvezzi a dare ascolto a qualunque cosa dica un tribuno della plebe - anche se incita a tradire la patria e a distruggere la repubblica -, e affascinati come siete da quell'autorit? permettete che qualunque misfatto si nasconda al riparo del suo potere. Ormai non resta loro altro che diffondere tra i soldati e nell'accampamento le stesse cose che blaterano qui, e mettersi a corrompere le truppe impedendo loro di obbedire ai capi, visto che a Roma - ora come ora - libert? significa non avere alcun rispetto per il Senato, per i magistrati, per le leggi, per le tradizioni degli avi, per le istituzioni dei padri e per la disciplina militare?.
 

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