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Ovidio


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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita V, 7
 
originale
 
[7] Par iam etiam in contionibus erat Appius tribunis plebis, cum subito, unde minime quis crederet, accepta calamitas apud Veios et superiorem Appium in causa et concordiam ordinum maiorem ardoremque ad obsidendos pertinacius Veios fecit. nam cum agger promotus ad urbem uineaeque tantum non iam iniunctae moenibus essent, dum opera interdiu fiunt intentius quam nocte custodiuntur, patefacta repente porta ingens multitudo facibus maxime armata ignes coniecit, horaeque momento simul aggerem ac uineas, tam longi temporis opus, incendium hausit; multique ibi mortales nequiquam opem ferentes ferro ignique absumpti sunt. Quod ubi Romam est nuntiatum, maestitiam omnibus, senatui curam metumque iniecit, ne tum uero sustineri nec in urbe seditio nec in castris posset et tribuni plebis uelut ab se uictae rei publicae insultarent, cum repente quibus census equester erat, equi publici non erant adsignati, concilio prius inter sese habito, senatum adeunt factaque dicendi potestate, equis se suis stipendia facturos promittunt. Quibus cum amplissimis uerbis gratiae ab senatu actae essent famaque ea forum atque urbem peruasisset, subito ad curiam concursus fit plebis; pedestris ordinis aiunt nunc esse operam rei publicae extra ordinem polliceri, seu Veios seu quo alio ducere uelint; si Veios ducti sint, negant se inde prius quam capta urbe hostium redituros esse. Tum uero iam superfundenti se laetitiae uix temperatum est; non enim, sicut equites, dato magistratibus negotio laudari iussi, neque aut in curiam uocati quibus responsum daretur, aut limine curiae continebatur senatus; sed pro se quisque ex superiore loco ad multitudinem in comitio stantem uoce manibusque significare publicam laetitiam, beatam urbem Romanam et inuictam et aeternam illa concordia dicere, laudare equites, laudare plebem, diem ipsum laudibus ferre, uictam esse fateri comitatem benignitatemque senatus. Certatim patribus plebique manare gaudio lacrimae, donec reuocatis in curiam patribus senatus consultum factum est ut tribuni militares contione aduocata peditibus equitibusque gratias agerent, memorem pietatis eorum erga patriam dicerent senatum fore; placere autem omnibus his uoluntariam extra ordinem professis militiam aera procedere; et equiti certus numerus aeris est adsignatus. Tum primum equis suis merere equites coeperunt. Voluntarius ductus exercitus Veios non amissa modo restituit opera, sed noua etiam instituit. Ab urbe commeatus intentiore quam antea subuehi cura, ne quid tam bene merito exercitui ad usum deesset.
 
traduzione
 
7 Ormai Appio teneva testa ai tribuni della plebe anche nelle assemblee popolari, quando all'improvviso un disastro sub?to dall'esercito nei pressi di Veio (cio? da quella zona dove meno lo si sarebbe previsto) fece prevalere la causa di Appio, consolidando la concordia tra le classi e rinfocolando l'ardore degli animi nel proposito di proseguire l'assedio di Veio con maggiore tenacia. Il terrapieno costruito dai Romani era ormai vicinissimo alla citt? e ormai restava soltanto da accostare le 'vigne' alle mura. Ma siccome l'impegno profuso nei lavori era superiore a quello dedicato alla vigilanza notturna, all'improvviso si spalanc? una porta della citt? e ne fuoriusc? una massa enorme di nemici armati soprattutto di torce accese, e nello spazio di un'ora un incendio divor? contemporaneamente il terrapieno e le vigne, costruite a prezzo di lunghi e spossanti sforzi. E l? molti soldati che cercavano inutilmente di portare aiuto vennero uccisi dal fuoco o dalle spade nemiche. Quando la notizia dell'incendio arriv? a Roma, fu la costernazione generale. In Senato provoc? invece grande apprensione perch? tutti temevano di non riuscire pi? a scongiurare il pericolo di disordini tanto in citt? quanto nell'accampamento e di non poter impedire ai tribuni della plebe di farsi beffe della repubblica come se questa fosse stata vinta da loro stessi. Ma all'improvviso i cittadini di rango equestre, cui non era stato assegnato un cavallo a spese dello Stato, dopo essersi preventivamente riuniti in assemblea, si presentarono in Senato e, una volta ottenuta la parola, dichiararono che avrebbero prestato servizio militare con cavalli comprati a proprie spese. Il Senato li ringrazi? con parole sentite e la notizia di quel gesto cominci? a diffondersi nel foro e per le vie della citt?. S?bito dopo una folla di plebei si accalc? di fronte alla curia, dicendo che adesso toccava all'ordine della fanteria offrire un servizio straordinario alla repubblica, sia che li si volesse impiegare a Veio sia su qualunque altro fronte. Sostenevano anche che, se fossero stati condotti a Veio, non avrebbero abbandonato la zona prima di aver conquistato la citt? nemica. Allora si riusc? a malapena a contenere l'esplosione di giubilo: il senato infatti non diede ordine ai magistrati, cos? come aveva fatto con i cavalieri, di elogiarli, n? di convocarli all'interno della curia per dar loro una risposta, e non rimase nemmeno all'interno della curia. Ma ciascun senatore dall'alto della scala dimostrava con gesti e parole la pubblica gioia alla folla in piedi in mezzo al comizio, e diceva che proprio grazie a quell'armonia tra le classi Roma era felice, invincibile ed eterna, lodava plebe e cavalieri, celebrava quella giornata e sosteneva che la generosit? e la liberalit? del senato erano state superate. Plebei e senatori facevano a gara nel versare lacrime di gioia. Poi i senatori, richiamati nella curia decretarono che i tribuni militari, dopo aver convocato l'assemblea plenaria, ringraziassero ufficialmente fanti e cavalieri e dichiarassero che il Senato non avrebbe dimenticato in futuro l'attaccamento alla patria dimostrato da quei due ordini. In base allo stesso decreto, tutti coloro che avevano promesso di prestare volontariamente quel servizio militare straordinario avrebbero continuato a percepire la paga, mentre anche ai cavalieri venne garantita una determinata somma di denaro. Fu quella la prima volta che i cavalieri prestarono servizio con cavalli di loro propriet?. Le truppe di volontari condotti nella zona di Veio non si limitarono a ricostruire le opere di fortificazione appena distrutte, ma ne eressero anche di nuove. Da Roma si provvide al trasporto di rifornimenti con maggiore cura di quanta non ne fosse stata impiegata in precedenza, per evitare che a quell'esercito cos? meritevole non venisse a mancare nulla di necessario.
 

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