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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Livio
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Ab urbe condita V, 19
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originale
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[19] Iam ludi Latinaeque instaurata erant, iam ex lacu Albano aqua emissa in agros, Veiosque fata adpetebant. Igitur fatalis dux ad excidium illius urbis seruandaeque patriae, M. Furius Camillus, dictator dictus magistrum equitum P. Cornelium Scipionem dixit. Omnia repente mutauerat imperator mutatus; alia spes, alius animus hominum, fortuna quoque alia urbis uideri. Omnium primum in eos qui a Veiis in illo pauore fugerant more militari animaduertit, effecitque ne hostis maxime timendus militi esset. Deinde indicto dilectu in diem certam, ipse interim Veios ad confirmandos militum animos intercurrit; inde Romam ad scribendum nouum exercitum redit, nullo detractante militiam. Peregrina etiam iuuentus, Latini Hernicique, operam suam pollicentes ad id bellum uenere; quibus cum gratias in senatu egisset dictator, satis iam omnibus ad id bellum paratis, ludos magnos ex senatus consulto uouit Veiis captis se facturum aedemque Matutae Matris refectam dedicaturum, iam ante ab rege Ser. Tullio dedicatam. Profectus cum exercitu ab urbe exspectatione hominum maiore quam spe, in agro primum Nepesino cum Faliscis et Capenatibus signa confert. Omnia ibi summa ratione consilioque acta fortuna etiam, ut fit, secuta est. Non proelio tantum fudit hostes, sed castris quoque exuit ingentique praeda est potitus; cuius pars maxima ad quaestorem redacta est, haud ita multum militi datum. Inde ad Veios exercitus ductus, densioraque castella facta, et a procursationibus quae multae temere inter murum ac uallum fiebant, edicto ne quis iniussu pugnaret, ad opus milites traducti. Operum fuit omnium longe maximum ac laboriosissimum cuniculus in arcem hostium agi coeptus. Quod ne intermitteretur opus neu sub terra continuus labor eosdem conficeret, in partes sex munitorum numerum diuisit; senae horae in orbem operi attributae sunt; nocte ac die nunquam ante omissum quam in arcem uiam facerent.
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traduzione
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19 Ormai i giochi e le feste latine erano stati riorganizzati, l'acqua in eccesso era stata fatta defluire dal lago Albano e il giorno fatale della fine di Veio era sempre pi? vicino. E fu cos? che il generale chiamato dal destino a distruggere quella citt? e a salvare il proprio paese, e cio? Marco Furio Camillo, venne eletto dittatore e a sua volta nomin? maestro della cavalleria Publio Cornelio Scipione. Il cambio alla testa dell'esercito modific? in maniera repentina ogni cosa: erano riapparsi la speranza e lo spirito di un tempo e persino la fortuna di Roma sembrava diversa e rinnovata. Innanzitutto, il dittatore si occup? di quei soldati che erano fuggiti da Veio nel pieno del panico: punendoli con la severit? prevista dal codice militare, fece capire ai propri uomini come il nemico non fosse il peggiore spauracchio in guerra. Poi, dopo aver indetto la leva militare per un giorno determinato, nell'intervallo di tempo che lo separava da quella data corse a Veio per incoraggiare le truppe. Quindi torn? a Roma dove arruol? un nuovo esercito senza dover affrontare alcun caso di renitenza alla leva. Addirittura, da fuori, dai Latini e dagli Ernici, si presentarono contingenti di giovani e offersero il proprio contributo per quel conflitto: il dittatore li ringrazi? di fronte al Senato. E siccome tutto era pronto in vista della guerra, in conformit? a un decreto del Senato, Camillo promise in maniera solenne che, qualora Veio fosse caduta in mano dei Romani, avrebbe celebrato i Ludi Magni, restaurato e riconsacrato il tempio della Madre Matuta, un tempo gi? consacrato dal re Servio Tullio. Quando lasci? Roma alla testa dell'esercito, le aspettative della gente superavano addirittura le speranze. Giunto nel territorio di Nepi, il suo primo scontro armato fu con Falisci e Capenati. In quell'occasione, come spesso succede, la sua condotta, strategicamente perfetta sotto ogni aspetto, venne accompagnata anche dalla fortuna. Camillo non si limit? per? a sbaragliare i nemici in battaglia, ma li priv? anche dell'accampamento impadronendosi di un enorme bottino, la maggior parte del quale venne consegnato al questore, lasciando cos? ben poca roba ai soldati. Di l? guid? quindi l'esercito alla volta di Veio dove increment? le opere di fortificazione impiegandovi i soldati, ai quali viet? di combattere senza ordini precisi, ponendo cos? termine alle frequentissime scaramucce che si verificavano nello spazio compreso tra il muro della citt? e il fossato dell'accampamento. Dette, poi, inizio a un lavoro molto pi? importante e faticoso di tutti gli altri: un cunicolo sotterraneo diretto verso la cittadella. Per evitare interruzioni nella costruzione ed eccessi di fatiche sobbarcate sotto terra sempre dagli stessi uomini, il dittatore li divise in sei squadre, ciascuna con un turno di sei ore. Si pot? cos? procedere in maniera incessante giorno e notte, fino a quando il camminamento non ebbe raggiunto la cittadella nemica.
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