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Ovidio - database
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Livio
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Ab urbe condita V, 23
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originale
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[23] Romam ut nuntiatum est Veios captos, quamquam et prodigia procurata fuerant et uatum responsa et Pythicae sortes notae, et quantum humanis adiuuari consiliis potuerat res ducem M. Furium, maximum imperatorum omnium, legerant, tamen quia tot annis uarie ibi bellatum erat multaeque clades acceptae, uelut ex insperato immensum gaudium fuit, et priusquam senatus decerneret plena omnia templa Romanarum matrum grates dis agentium erant. Senatus in quadriduum, quot dierum nullo ante bello, supplicationes decernit. Aduentus quoque dictatoris omnibus ordinibus obuiam effusis celebratior quam ullius unquam antea fuit, triumphusque omnem consuetum honorandi diei illius modum aliquantum excessit. Maxime conspectus ipse est, curru equis albis iuncto urbem inuectus, parumque id non ciuile modo sed humanum etiam uisum. Iouis Solisque equis aequiperatum dictatorem in religionem etiam trahebant, triumphusque ob eam unam maxime rem clarior quam gratior fuit. Tum Iunoni reginae templum in Auentino locauit, dedicauitque Matutae Matris; atque his diuinis humanisque rebus gestis dictatura se abdicauit. Agi deinde de Apollinis dono coeptum. Cui se decimam uouisse praedae partem cum diceret Camillus, pontifices soluendum religione populum censerent, haud facile inibatur ratio iubendi referre praedam populum, ut ex ea pars debita in sacrum secerneretur. tandem eo quod lenissimum uidebatur decursum est, ut qui se domumque religione exsoluere uellet, cum sibimet ipse praedam aestimasset suam, decimae pretium partis in publicum deferret, ut ex eo donum aureum, dignum amplitudine templi ac numine dei, ex dignitate populi Romani fieret. Ea quoque conlatio plebis animos a Camillo alienauit. Inter haec pacificatum legati a Volscis et Aequis uenerunt, impetrataque pax, magis ut fessa tam diutino bello adquiesceret ciuitas quam quod digni peterent.
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traduzione
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23 Quando a Roma arriv? la notizia della caduta di Veio, anche se i prodigi erano stati espiati e tutti ormai erano a conoscenza dei responsi degli aruspici e dell'oracolo della Pizia, e per quanto i Romani, scegliendosi come comandante il pi? grande generale che ci fosse in circolazione (e cio? Furio Camillo), avessero fatto tutto quello che era in loro potere per sostenere la causa comune, ci? non ostante - visto che la guerra si era trascinata con alterne fortune per cos? tanti anni e le disfatte subite non erano state certo poche - in citt? l'esplosione di gioia fu incontenibile come se quell'esito fosse insperato. E prima ancora che il senato lo decretasse, i templi tutti si riempirono di matrone romane che rendevano grazie agli d?i. Il senato stabil? che le feste di ringraziamento durassero per quattro giorni di s?guito, cosa che non era mai successa in nessuna delle guerre combattute in passato. Quando il dittatore rientr? in citt?, venne anche a lui riservata un'accoglienza senza precedenti per il numero di persone di ogni ordine sociale che gli andarono incontro riversandosi per le strade. E per il trionfo fu la stessa cosa: gli onori riservati di solito in simili occasioni superarono di gran lunga le proporzioni abituali. Il dittatore, all'atto di fare il suo ingresso in citt? a bordo di un cocchio trainato da cavalli bianchi, divenne l'elemento pi? in vista di tutto il corteo, cosa questa che diede l'impressione di essere eccessiva non solo per un cittadino ma anche per un semplice mortale, perch? la gente riteneva sacrilego il fatto che il dittatore, avendo utilizzato quel tipo di cavalli, fosse stato messo sullo stesso piano di Giove e del Sole. E fu soprattutto per questa ragione se il trionfo raccolse pi? ammirazione per la magnificenza dell'apparato che ampiezza di consensi. Camillo, poi, fece erigere un tempio a Giunone Regina sull'Aventino e ne dedic? uno alla Madre Matuta. Adempiuti questi impegni di natura cultuale e materiale, abbandon? spontaneamente la carica di dittatore.
La questione della quale si dibatt? s?bito dopo fu il dono promesso ad Apollo. Camillo aveva dichiarato di avergli promesso in voto la decima parte del bottino fatto a Veio e i pontefici dicevano che il popolo doveva onorare quest'obbligo religioso ma non era facile trovare come imporre alla gente di restituire il bottino, per prelevarne la parte destinata e dovuta agli scopi sacri. Alla fine si arriv? al rimedio pi? blando: chiunque avesse voluto, a nome proprio e della propria casa, liberarsi dall'obbligo religioso, avrebbe dovuto prima effettuare una valutazione del bottino toccatogli e quindi versarne un decimo nel tesoro di Stato, in maniera tale da trasformare quella contribuzione in un dono in oro degno della magnificenza del tempio e della grandezza della divinit? e in perfetta sintonia con la dignit? del popolo romano. Ma, anche cos?, la contribuzione alien? a Camillo le simpatie della plebe. Nel frattempo Volsci ed Equi inviarono dei delegati a intavolare trattative di pace: e se essa venne concessa, non fu tanto perch? ne fossero degni coloro che la richiedevano, quanto piuttosto perch? il paese avesse modo di riprendere fiato stremato com'era dopo una guerra cos? lunga.
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