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Progetto
Ovidio - database
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Livio
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Ab urbe condita V, 27
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originale
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[27] Mos erat Faliscis eodem magistro liberorum et comite uti, simulque plures pueri, quod hodie quoque in Graecia manet, unius curae demandabantur. principum liberos, sicut fere fit, qui scientia uidebatur praecellere erudiebat. Is cum in pace instituisset pueros ante urbem lusus exercendique causa producere, nihil eo more per belli tempus intermisso, [dum] modo breuioribus modo longioribus spatiis trahendo eos a porta, lusu sermonibusque uariatis, longius solito ubi res dedit progressus, inter stationes eos hostium castraque inde Romana in praetorium ad Camillum perduxit. Ibi scelesto facinori scelestiorem sermonem addit, Falerios se in manus Romanis tradidisse, quando eos pueros quorum parentes capita ibi rerum sint in potestatem dediderit. Quae ubi Camillus audiuit, "non ad similem" inquit, "tui nec populum nec imperatorem scelestus ipse cum scelesto munere uenisti. Nobis cum Faliscis quae pacto fit humano societas non est: quam ingenerauit natura utrisque est eritque. Sunt et belli, sicut pacis, iura, iusteque ea non minus quam fortiter didicimus gerere. Arma habemus non aduersus eam aetatem cui etiam captis urbibus parcitur, sed aduersus armatos et ipsos qui, nec laesi nec lacessiti a nobis, castra Romana ad Veios oppugnarunt. Eos tu quantum in te fuit nouo scelere uicisti: ego Romanis artibus, uirtute opere armis, sicut Veios uincam". Denudatum deinde eum manibus post tergum inligatis reducendum Falerios pueris tradidit, uirgasque eis quibus proditorem agerent in urbem uerberantes dedit. Ad quod spectaculum concursu populi primum facto, deinde a magistratibus de re noua uocato senatu, tanta mutatio animis est iniecta ut qui modo efferati odio iraque Veientium exitum paene quam Capenatium pacem mallent, apud eos pacem uniuersa posceret ciuitas. Fides Romana, iustitia imperatoris in foro et curia celebrantur; consensuque omnium legati ad Camillum in castra, atque inde permissu Camilli Romam ad senatum, qui dederent Falerios proficiscuntur. Introducti ad senatum ita locuti traduntur: "patres conscripti, uictoria cui nec deus nec homo quisquam inuideat uicti a uobis et imperatore uestro, dedimus nos uobis, rati, quo nihil uictori pulchrius est, melius nos sub imperio uestro quam legibus nostris uicturos. Euentu huius belli duo salutaria exempla prodita humano generi sunt: uos fidem in bello quam praesentem uictoriam maluistis; nos fide prouocati uictoriam ultro detulimus. Sub dicione uestra sumus; mittite qui arma, qui obsides, qui urbem patentibus portis accipiant. Nec uos fidei nostrae nec nos imperii uestri paenitebit." Camillo et ab hostibus et a ciuibus gratiae actae. Faliscis in stipendium militum eius anni, ut populus Romanus tributo uacaret, pecunia imperata. Pace data exercitus Romam reductus.
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traduzione
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27 Presso i Falisci c'era l'abitudine di servirsi della stessa persona in qualit? di maestro e di accompagnatore dei figli, cos? che, come ancora oggi si verifica in Grecia, pi? ragazzi venivano affidati alle cure di un solo individuo. Il c?mpito di istruire i rampolli delle famiglie pi? in vista era assegnato, come di solito succede, a un uomo che aveva fama di essere superiore a tutti per profondit? di dottrina. In tempo di pace questo maestro aveva preso l'abitudine di portare i ragazzi a giocare e a fare ginnastica fuori dalla cerchia delle mura, senza poi modificare in nulla questa abitudine una volta scoppiato il conflitto. Siccome continuava a passeggiare coi suoi discepoli in punti pi? o meno lontani dalle porte coinvolgendoli in giochi e racconti sempre diversi, un giorno in cui la passeggiata si era spinta pi? in l? del solito, il maestro colse al volo l'opportunit? di portare i ragazzi in mezzo ai posti di guardia del nemico e di l?, una volta attraversato l'accampamento romano, di arrivare fino alla tenda di Camillo. E l?, aggiungendo un discorso ancor pi? efferato a un gesto che lo era gi? di per s?, disse di aver consegnato la citt? di Faleri in mano ai Romani poich? quei ragazzi erano i figli degli uomini che detenevano il potere supremo in citt?. Al sentire quelle parole, Camillo disse: ?Il popolo e il comandante presso il quale tu, razza di scellerato, ti sei presentato col tuo dono da scellerato, sappi che non ti assomigliano in nulla. Tra noi e i Falisci non c'? alcun vincolo fondato su patti stipulati dagli uomini, ma esiste e sempre esister? per l'una e l'altra parte quello voluto dalla natura. Anche la guerra, come la pace, ha le sue leggi e noi abbiamo imparato a osservarle ricorrendo alla giustizia non meno che al coraggio. Noi non usiamo le armi contro quell'et? inerme che viene risparmiata anche nelle citt? conquistate, ma contro chi si presenta a sua volta armato e colpisce, come quelli che attaccarono l'accampamento romano a Veio, pur senza esser stati n? offesi n? tantomeno provocati da noi. Uomini di quella tacca tu li hai superati con un crimine che non ha precedenti: io li vincer? alla maniera romana, usando, come successo con Veio, solo il coraggio, le opere d'assedio e le armi.? Dopo aver fatto spogliare il maestro, ordin? di legargli le mani dietro la schiena e quindi lo affid? ai ragazzi perch? lo riportassero indietro a Faleri e diede loro delle verghe invitandoli a frustarlo durante il percorso dall'accampamento alla citt?. L'insolito spettacolo richiam? sulle prime una gran folla. Poi, durante una seduta dal senato convocata dai magistrati per discutere del singolare episodio successo, lo stato d'animo dell'intera popolazione sub? un cambiamento cos? netto che a quegli stessi uomini che poco prima, sull'onda della rabbia e dell'odio, avevano dichiarato di preferire la fine di Veio al trattato stipulato dai Capenati, adesso l'intera citt? chiedeva a gran voce la pace. Nel foro e nella curia tutti celebravano l'onest? romana e il senso di giustizia del generale. Poi, col consenso generale, vennero inviati degli ambasciatori a Camillo che dall'accampamento diede loro il permesso di recarsi a Roma, al senato, dove, una volta introdotti, pare pronunciassero le seguenti parole: ?O padri coscritti, poich? voi e il vostro comandante avete ottenuto su di noi una vittoria per la quale nessun uomo e nessun dio potr? mai provare del risentimento, ci rimettiamo nelle vostre mani, convinti (niente pu? essere per il vincitore motivo maggiore di gloria) di poter vivere meglio sotto la vostra autorit? che sotto le nostre leggi. L'esito di questo conflitto ha offerto all'umanit? due esempi pi? che utili: voi avete anteposto la lealt? in guerra alla vittoria immediata; noi, sfidati da questa prova di lealt?, vi abbiamo offerto liberamente la vittoria. Ci rimettiamo nelle vostre mani: mandate pure degli uomini a prendere le nostre armi, gli ostaggi e la citt? le cui porte sono gi? aperte. Voi non avrete rimostranze circa la nostra lealt? cos? come noi non ne avremo riguardo il vostro dominio.? Camillo venne ringraziato tanto dai nemici quanto dai concittadini. Ai Falisci venne ordinato di provvedere alle paghe militari di quell'anno, onde alleviare cos? il popolo romano dal versamento di quella tassa. E una volta concessa la pace, l'esercito venne ricondotto a Roma.
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