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Ovidio


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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita V, 40
 
originale
 
[40] Haec inter seniores morti destinatos iactata solacia. Versae inde adhortationes ad agmen iuuenum quos in Capitolium atque in arcem prosequebantur, commendantes uirtuti eorum iuuentaeque urbis per trecentos sexaginta annos omnibus bellis uictricis quaecumque reliqua esset fortuna. Digredientibus qui spem omnem atque opem secum ferebant ab iis qui captae urbis non superesse statuerant exitio, cum ipsa res speciesque miserabilis erat, tum muliebris fletus et concursatio incerta nunc hos, nunc illos sequentium rogitantiumque uiros natosque cui se fato darent, nihil quod humani superesset mali relinquebant. Magna pars tamen earum in arcem suos persecutae sunt, nec prohibente ullo nec uocante, quia quod utile obsessis ad minuendam imbellem multitudinem, id parum humanum erat. Alia maxime plebis turba, quam nec capere tam exiguus collis nec alere in tanta inopia frumenti poterat, ex urbe effusa uelut agmine iam uno petiit Ianiculum. Inde pars per agros dilapsi, pars urbes petunt finitimas, sine ullo duce aut consensu, suam quisque spem, sua consilia communibus deploratis exsequentes. Flamen interim Quirinalis uirginesque Vestales omissa rerum suarum cura, quae sacrorum secum ferenda, quae quia uires ad omnia ferenda deerant relinquenda essent consultantes, quisue ea locus fideli adseruaturus custodia esset, optimum ducunt condita in doliolis sacello proximo aedibus flaminis Quirinalis, ubi nunc despui religio est, defodere; cetera inter se onere partito ferunt uia quae sublicio ponte ducit ad Ianiculum. In eo cliuo eas cum L. Albinius de plebe Romana homo conspexisset plaustro coniugem ad liberos uehens inter ceteram turbam quae inutilis bello urbe excedebat, saluo etiam tum discrimine diuinarum humanarumque rerum religiosum ratus sacerdotes publicas sacraque populi Romani pedibus ire ferrique, se ac suos in uehiculo conspici, descendere uxorem ac pueros iussit, uirgines sacraque in plaustrum imposuit et Caere quo iter sacerdotibus erat peruexit.
 
traduzione
 
40 Cos? gli anziani destinati a morire cercavano di consolarsi gli uni con gli altri. Ma poi, rivolgendo le loro esortazioni alla schiera di giovani che accompagnavano al Campidoglio e nella rocca, affidarono al valore e alla vigoria giovanile di quei ragazzi qualsiasi residuo di buona sorte riservato ancora a una citt? che nell'arco di trecento sessant'anni era uscita vincitrice da ogni guerra combattuta. Il distacco tra chi portava con s? ogni speranza di aiuto e chi invece aveva spontaneamente deciso di non sopravvivere al crollo della citt?, era gi? di per s? uno spettacolo miserando: il pianto delle donne, poi, e il loro correre disordinato dietro ora a questi ora a quelli domandando a figli e a mariti a quale destino le stessero abbandonando aggiunse l'ultimo tocco a quel quadro completo di umana sventura. Ci? non ostante, molte di esse seguirono i propri congiunti fin nella cittadella, senza che nessuno le incoraggiasse o impedisse loro di farlo perch? ci? che avrebbe aiutato gli assediati a ridurre il numero dei non combattenti sarebbe stato nello stesso tempo un gesto inumano. Un'altra massa di persone - composta per lo pi? da plebei -, non potendo trovare posto nell'area tanto ridotta del colle e non potendo essere sfamata in quel regime di cos? grave penuria alimentare, sciam? disordinatamente fuori dalla citt? e, dopo aver formato una sorta di linea continua, si incammin? verso il Gianicolo. Di l? parte si disperse per le campagne, mentre parte ripar? nelle citt? dei dintorni, senza un capo o un piano concertato: ognuno seguiva le proprie speranze e i propri progetti disperando della sorte comune. Nel frattempo il flamine di Quirino e le vergini Vestali, dimentichi delle proprie cose, si consultarono su quali oggetti sacri fossero da portar via, quali fossero invece da abbandonare (non avendo essi materialmente le energie necessarie per prendere ogni cosa), e in che luogo quegli oggetti sarebbero stati pi? al sicuro. Alla fine decisero che la soluzione migliore fosse quella di metterli dentro a piccole botti da sotterrare poi nel santuario accanto all'abitazione del flamine di Quirino, l? dove oggi ? considerato sacrilegio sputare. Il resto degli oggetti, dividendosene il carico, li portarono via per la strada che conduce dal ponte Sublicio al Gianicolo. Le vi de mentre salivano il colle un plebeo di nome Lucio Albinio il quale stava portando via da Roma su un carro la moglie e i figli in mezzo alla massa che lasciava la citt? perch? inutile alla causa della guerra. E siccome quell'individuo - osservando la distinzione tra le cose divine e umane anche nel pieno della tragica situazione -, riteneva fosse un sacrilegio che le sacerdotesse di Stato andassero a piedi portando i sacri arredi del popolo romano mentre lui e i suoi se ne stavano sul carro sotto gli occhi di tutti, ordin? a moglie e figli di scendere e dopo aver fatto salire le vergini con gli oggetti sacri le accompagn? fino a Cere, dove le sacerdotesse erano dirette.
 

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