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Ovidio


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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita V, 42
 
originale
 
[42] Ceterum, seu non omnibus delendi urbem libido erat, seu ita placuerat principibus Gallorum et ostentari quaedam incendia terroris causa, si compelli ad deditionem caritate sedum suarum obsessi possent, et non omnia concremari tecta ut quodcumque superesset urbis, id pignus ad flectendos hostium animos haberent, nequaquam perinde atque in capta urbe primo die aut passim aut late uagatus est ignis. Romani ex arce plenam hostium urbem cernentes uagosque per uias omnes cursus, cum alia atque alia parte noua aliqua clades oreretur, non mentibus solum concipere sed ne auribus quidem atque oculis satis constare poterant. Quocumque clamor hostium, mulierum puerorumque ploratus, sonitus flammae et fragor ruentium tectorum auertisset, pauentes ad omnia animos oraque et oculos flectebant, uelut ad spectaculum a fortuna positi occidentis patriae nec ullius rerum suarum relicti praeterquam corporum uindices, tanto ante alios miserandi magis qui unquam obsessi sunt quod interclusi a patria obsidebantur, omnia sua cernentes in hostium potestate. Nec tranquillior nox diem tam foede actum excepit; lux deinde noctem inquieta insecuta est, nec ullum erat tempus quod a nouae semper cladis alicuius spectaculo cessaret. Nihil tamen tot onerati atque obruti malis flexerunt animos quin etsi omnia flammis ac ruinis aequata uidissent, quamuis inopem paruumque quem tenebant collem liberati relictum uirtute defenderent; et iam cum eadem cottidie acciderent, uelut adsueti malis abalienauerant ab sensu rerum suarum animos, arma tantum ferrumque in dextris uelut solas reliquias spei suae intuentes.
 
traduzione
 
42 Sia che non tutti i Galli avessero voglia di distruggere la citt?, sia che i loro capi intendessero, con lo spettacolo di qualche incendio, spaventare gli assediati e spingerli cos? alla resa per l'attaccamento alle proprie dimore, e avessero deciso di risparmiare qualche edificio, per conservare quanto restava in piedi della citt? come ostaggio destinato a piegare la resistenza dei nemici, comunque fossero andate le cose, il primo giorno il fuoco non si propag? dappertutto o per ampie estensioni di spazio come di solito succede in una citt? conquistata. I Romani, vedendo dall'alto della rocca la citt? pullulare di nemici lanciati all'impazzata per le strade, mentre ora da una parte e ora dall'altra si succedevano sempre nuovi disastri, non solo non riuscivano a capacitarsene, ma neanche pi? a credere alle proprie orecchie e alla propria vista. Volgevano lo sguardo e l'animo dovunque li richiamasse il clamore dei nemici, il pianto di donne e bambini, il crepitare delle fiamme e il fragore degli edifici che crollavano, essi, atterriti da tutto, come se il destino li avesse piazzati l?, spettatori del crollo della patria, costringendoli, dopo averli privati di tutti gli altri beni, a non poter difendere nient'altro che le loro stesse persone fisiche, tanto pi? degni di compassione di chiunque altro avesse subito assedi: infatti i Romani, assediati fuori della patria, vedevano ogni loro cosa in bal?a delle mani nemiche. A un giorno cos? orribile tenne dietro una notte che non fu certo pi? serena. Alla notte fece poi s?guito un giorno all'insegna dell'angoscia, durante il quale non ci fu un solo attimo privo del sinistro spettacolo di disastri senza tregua. Tuttavia, pur essendo cos? gravati e schiacciati dall'imperversare delle sventure, nulla riusc? a piegare la risolutezza dei loro caratteri: pur vedendo tutto raso al suolo dall'azione delle fiamme e dai crolli, continuavano a difendere gagliardamente come estremo baluardo di libert? il colle su cui si erano rifugiati, per quanto fosse piccolo e povero. E siccome ogni giorno si ripetevano le stesse identiche scene, come se fossero avvezzi ormai alla disgrazia, i Romani erano divenuti insensibili alla perdita dei loro beni: e guardavano solo, come estremi brandelli di speranza, agli scudi e alle spade impugnate nelle destre.
 

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