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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita V, 43
 
originale
 
[43] Galli quoque per aliquot dies in tecta modo urbis nequiquam bello gesto cum inter incendia ac ruinas captae urbis nihil superesse praeter armatos hostes uiderent, nec quicquam tot cladibus territos nec flexuros ad deditionem animos ni uis adhiberetur, experiri ultima et impetum facere in arcem statuunt. Prima luce signo dato multitudo omnis in foro instruitur; inde clamore sublato ac testudine facta subeunt. aduersus quos Romani nihil temere nec trepide; ad omnes aditus stationibus firmatis, qua signa ferri uidebant ea robore uirorum opposito scandere hostem sinunt, quo successerit magis in arduum eo pelli posse per procliue facilius rati. Medio fere cliuo restitere; atque inde ex loco superiore qui prope sua sponte in hostem inferebat impetu facto, strage ac ruina fudere Gallos; ut nunquam postea nec pars nec uniuersi temptauerint tale pugnae genus. Omissa itaque spe per uim atque arma subeundi obsidionem parant, cuius ad id tempus immemores et quod in urbe fuerat frumentum incendiis urbis absumpserant, et ex agris per eos ipsos dies raptum omne Veios erat. Igitur exercitu diuiso partim per finitimos populos praedari placuit, partim obsideri arcem, ut obsidentibus frumentum populatores agrorum praeberent. Proficiscentes Gallos ab urbe ad Romanam experiendam uirtutem fortuna ipsa Ardeam ubi Camillus exsulabat duxit; qui maestior ibi fortuna publica quam sua cum dis hominibusque accusandis senesceret, indignando mirandoque ubi illi uiri essent qui secum Veios Faleriosque cepissent, qui alia bella fortius semper quam felicius gessissent, repente audit Gallorum exercitum aduentare atque de eo pauidos Ardeates consultare. Nec secus quam diuino spiritu tactus cum se in mediam contionem intulisset, abstinere suetus ante talibus conciliis:
 
traduzione
 
43 Da parte loro i Galli, dopo essersi per giorni accaniti contro gli edifici della citt? senza ottenere alcun risultato, quando si resero conto che in mezzo alle macerie sopravvissute agli incendi non restavano altro che nemici armati fino ai denti (i quali, per nulla terrorizzati da tanti disastri, davano l'impressione di non poter essere piegati se non col ricorso alla forza), optarono per la risoluzione estrema di un attacco alla cittadella. Cos?, quando alle prime luci del giorno venne dato il segnale, l'intera massa dei Galli si schier? nel foro con una formazione a testuggine e, dopo aver alzato il grido di guerra, mosse all'attacco. Per contrastarli, i Romani attestati sull'alto evitarono di lasciarsi prendere dall' avventatezza e dalla precipitazione. Rinforzarono i posti di guardia in prossimit? di tutti gli accessi e l? dove vedevano i nemici avanzare opposero i loro uomini pi? validi, permettendo ai Galli di progredire nell'ascesa, convinti che sarebbe stato tanto pi? facile respingerli gi? dal pendio quanto pi? essi si fossero spinti verso la cima. Cos?, attestandosi pi? o meno a met? dell'erta, i Romani, dopo aver lanciato l'attacco da quella posizione sopraelevata che quasi di per se stessa sembrava proiettarli contro il nemico, sbaragliarono i Galli in maniera cos? netta e schiacciante da convincerli a non ripetere quel tipo di attacco n? con una parte n? con l'intero schieramento di forze a disposizione. Avendo quindi abbandonato ogni speranza residua di salire sulla cittadella col ricorso alla forza delle armi, i Galli si prepararono a cingerla d'assedio. Ma, non avendo fino a quel preciso momento pensato a una simile soluzione, con gli incendi appiccati all'interno della citt? avevano distrutto tutto il frumento che vi si trovava in deposito, mentre quello che c'era ancora nei campi i Romani l'avevano trasportato in fretta a Veio in quei giorni. Cos?, dopo aver diviso l'esercito in due, decisero di affidare a una parte il c?mpito di razziare le terre dei popoli confinanti, impiegando il resto delle truppe nell'assedio della cittadella, in maniera tale che gli uomini impegnati nei saccheggi potessero provvedere all'approvvigionamento degli assedianti. Quando i Galli partirono da Roma, la mano del destino volle indirizzarli su Ardea (luogo dell'esilio di Camillo), a far la prova delle virt? del popolo romano. In quella citt? Camillo - afflitto pi? per i tristi casi della terra d'origine che per le proprie sventure - stava consumando il meglio dei propri anni inveendo contro uomini e d?i e domandandosi con sdegno stupito dove fossero finiti gli uomini che insieme a lui avevano conquistato Veio e Faleri e che avevano condotto altre guerre pi? con il proprio valore che con l'appoggio della fortuna. L? Camillo venne a sapere all'improvviso che l'esercito dei Galli era alle porte e che gli abitanti di Ardea stavano deliberando in preda al panico sul come affrontare la situazione. Spinto da un'ispirazione non meno che divina, Camillo si present? nel bel mezzo dell'assemblea (lui che in precedenza si era sempre tenuto alla larga da quel tipo di riunioni) e l? pronunci? questo discorso:
 

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