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Ovidio


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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita V, 44
 
originale
 
[44] "Ardeates" inquit, "ueteres amici, noui etiam ciues mei, quando et uestrum beneficium ita tulit et fortuna hoc eguit mea, nemo uestrum condicionis meae oblitum me huc processisse putet; sed res ac periculum commune cogit quod quisque possit in re trepida praesidii in medium conferre. Et quando ego uobis pro tantis uestris in me meritis gratiam referam, si nunc cessauero? Aut ubi usus erit mei uobis, si in bello non fuerit? Hac arte in patria steti et inuictus bello, in pace ab ingratis ciuibus pulsus sum. Vobis autem, Ardeates, fortuna oblata est et pro tantis populi Romani pristinis beneficiis quanta ipsi meministis?nec enim exprobranda ea apud memores sunt ?gratiae referendae et huic urbi decus ingens belli ex hoste communi pariendi. Qui effuso agmine aduentant gens est cui natura corpora animosque magna magis quam firma dederit; eo in certamen omne plus terroris quam uirium ferunt. Argumento sit clades Romana. Patentem cepere urbem: ex arce Capitolioque iis exigua resistitur manu: iam obsidionis taedio uicti abscedunt uagique per agros palantur. Cibo uinoque raptim hausto repleti, ubi nox adpetit, prope riuos aquarum sine munimento, sine stationibus ac custodiis passim ferarum ritu sternuntur, nunc ab secundis rebus magis etiam solito incauti. Si uobis in animo est tueri moenia uestra nec pati haec omnia Galliam fieri, prima uigilia capite arma frequentes, me sequimini ad caedem, non ad pugnam. Nisi uinctos somno uelut pecudes trucidandos tradidero, non recuso eundem Ardeae rerum mearum exitum quem Romae habui".
 
traduzione
 
44 ?Uomini di Ardea, miei vecchi amici e ora anche miei nuovi concittadini (perch? questo ha concesso la vostra bont? e voluto la mia disgrazia), nessuno di voi pensi ch'io mi sia presentato qui a parlare dimentico della condizione in cui verso. Ma le circostanze e il pericolo comune chiamano ciascuno di noi, in questo frangente, a mettere a disposizione di tutti l'aiuto che ? in grado di portare. E quando vi potrei ringraziare per i benefici di cui mi avete colmato, se adesso mi tirassi indietro? Oppure quando potrei esservi utile, se non in guerra? ? proprio quest'arte che in patria ? stata la mia fortuna. E pur non avendo mai patito sconfitte in guerra, in tempo di pace venni cacciato dall'ingratitudine dei concittadini. Ma voi, o uomini di Ardea, adesso avete l'opportunit? di ricompensare il popolo romano per i suoi favori, tanto grandi quanto voi stessi li ricordate (e non vale di sicuro la pena rinfacciarli a chi se li rammenta benissimo), mentre la vostra citt? ha nel contempo la possibilit? di un'eccezionale fama in campo militare. Quello che si sta avvicinando in formazione disordinata ? un popolo che ha avuto in dono dalla natura corpi e animi pi? grandi che saldi: proprio per tale ragione essi in ogni conflitto portano pi? terrore che effettiva forza. Prova ne sia la disfatta inflitta ai Romani: quel popolo ha conquistato una citt? con le porte spalancate; ma basta un modesto contingente arroccato sulla cittadella e sul Campidoglio per tenerli a bada. Ma ormai sopraffatti dalla noia dell'assedio se ne stanno andando, disperdendosi per le campagne senza una meta precisa. Dopo essersi riempiti di cibo e di vino ingurgitato d'un fiato, quando scende la notte si coricano a terra qua e l? come bestie selvagge accanto a qualche corso d'acqua, senza mai preoccuparsi di costruire recinti fortificati o di proteggersi con posti di guardia e sentinelle. E ora, dopo la recente vittoria, sono ancora pi? incauti del solito. Se quindi avete intenzione di difendere le vostre mura e di evitare che tutto questo paese diventi Gallia, al primo turno di guardia prendete le armi in massa e seguitemi per quello che dev'essere un massacro e non una semplice battaglia. Se non ve li consegner? immersi nel sonno da scannare come bestie, sono pronto a subire ad Ardea la stessa sorte che mi ? toccata a Roma.?
 

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