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Ovidio


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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita V, 51
 
originale
 
[51] "Adeo mihi acerbae sunt, Quirites, contentiones cum tribunis plebis, ut nec tristissimi exsilii solacium aliud habuerim, quoad Ardeae uixi, quam quod procul ab his certaminibus eram, et ob eadem haec non si miliens senatus consulto populique iussu reuocaretis, rediturus unquam fuerim. Nec nunc me ut redirem mea uoluntas mutata sed uestra fortuna perpulit; quippe ut in sua sede maneret patria, id agebatur, non ut ego utique in patria essem. Et nunc quiescerem ac tacerem libenter nisi haec quoque pro patria dimicatio esset; cui deesse, quoad uita suppetat, aliis turpe, Camillo etiam nefas est. Quid enim repetiimus, quid obsessam ex hostium manibus eripuimus, si reciperatam ipsi deserimus? Et cum uictoribus Gallis capta tota urbe Capitolium tamen atque arcem dique et homines Romani tenuerint, uictoribus Romanis reciperata urbe arx quoque et Capitolium deseretur et plus uastitatis huic urbi secunda nostra fortuna faciet quam aduersa fecit? Equidem si nobis cum urbe simul positae traditaeque per manus religiones nullae essent, tamen tam euidens numen hac tempestate rebus adfuit Romanis ut omnem neglegentiam diuini cultus exemptam hominibus putem. Intuemini enim horum deinceps annorum uel secundas res uel aduersas; inuenietis omnia prospera euenisse sequentibus deos, aduersa spernentibus. Iam omnium primum, Veiens bellum?per quot annos, quanto labore gestum. ?non ante cepit finem, quam monitu deorum aqua ex lacu Albano emissa est. Quid haec tandem urbis nostrae clades noua? Num ante exorta est quam spreta uox caelo emissa de aduentu Gallorum, quam gentium ius ab legatis nostris uiolatum, quam a nobis cum uindicari deberet eadem neglegentia deorum praetermissum? Igitur uicti captique ac redempti tantum poenarum dis hominibusque dedimus ut terrarum orbi documento essemus. Aduersae deinde res admonuerunt religionum. Confugimus in Capitolium ad deos, ad sedem Iouis optimi maximi; sacra in ruina rerum nostrarum alia terra celauimus, alia auecta in finitimas urbes amouimus ab hostium oculis; deorum cultum deserti ab dis hominibusque tamen non intermisimus. Reddidere igitur patriam et uictoriam et antiquum belli decus amissum, et in hostes qui caeci auaritia in pondere auri foedus ac fidem fefellerunt, uerterunt terrorem fugamque et caedem.
 
traduzione
 
51 ?Gli scontri con i tribuni della plebe sono per me, o Quiriti, cos? dolorosi che durante il mio tristissimo esilio l'unico motivo di sollievo, per tutto il tempo che ho vissuto ad Ardea, era l'essere lontano da queste controversie, che sono poi il motivo per il quale io non sarei mai ritornato nemmeno se voi mi aveste richiamato migliaia di volte con una delibera del senato o con il consenso unanime del popolo. Ci? che adesso mi ha indotto a ritornare non ? stato un cambiamento del mio stato d'animo, ma il mutamento della vostra sorte. Poich? proprio di questo si trattava, che la patria rimanesse nella sua sede e non che io ad ogni costo vivessi in patria. E adesso me ne starei ugualmente al mio posto e tacerei volentieri, se anche questa non fosse una battaglia a favore della patria. Se il non prendervi parte finch? c'? vita sarebbe per altri una vergogna, per Camillo ? un gesto sacrilego. Ma allora perch? abbiamo cercato di riprenderci la patria, perch? l'abbiamo strappata dalle mani del nemico quand'era in stato d'assedio, se, dopo averla recuperata, siamo noi ad abbandonarla di nostra spontanea volont?? Quando i Galli vincitori avevano occupato l'intera citt?, ci? non ostante la cittadella e il Campidoglio erano in mano degli d?i e degli uomini romani, ora che sono i romani ad avere la meglio e la citt? ? ritornata interamente nostra, verranno abbandonati anche la cittadella e il Campidoglio, e la nostra buona sorte regaler? a questa citt? pi? desolazione di quanta non ne abbia portata la cattiva? Certo ? che se non avessimo degli obblighi religiosi nati insieme alla fondazione di Roma e tramandati di mano in mano nel corso dei secoli, tuttavia in quest'occasione l'appoggio degli d?i alla causa romana ? stato cos? evidente da farmi credere inammissibile per gli uomini ogni forma di incuria nei confronti del culto degli d?i. Considerate infatti uno dopo l'altro gli avvenimenti positivi e negativi di questi ultimi anni: vi renderete conto che tutto il bene ? venuto finch? ci siamo lasciati guidare dagli d?i, il male invece quando li abbiamo trascurati. Prendiamo prima di tutto la guerra contro Veio (per quanti anni si ? trascinata e con quanta sofferenza!): non se ne venne a capo fino a quando non drenammo, su invito degli d?i, il lago Albano. Che dire poi del disastro senza precedenti toccato di recente alla nostra citt?? ? forse successa prima che noi trascurassimo quella voce proveniente dal cielo che annunciava l'arrivo dei Galli, o prima che il diritto delle genti venisse violato dai nostri ambasciatori, o ancora prima che noi, invece di punire tale violazione, la passassimo sotto silenzio sempre per quella stessa trascuratezza nei confronti degli d?i? Perci?, vinti, fatti prigionieri e riscattati a peso d'oro, siamo stati puniti dagli d?i e dagli uomini in maniera cos? severa da servire d'esempio a tutto il mondo. In s?guito le avversit? ci hanno richiamato agli obblighi religiosi. Siamo andati a rifugiarci sul Campidoglio presso gli d?i, nella sede di Giove Ottimo Massimo. Degli oggetti sacri, alcuni, quando la nostra situazione era precipitata, li abbiamo nascosti sotto terra, altri, dopo averli rimossi, li abbiamo trasferiti in citt? vicine perch? fossero lontani dagli occhi dei nemici. Pur essendo stati abbandonati dagli d?i e dagli uomini, ci? non ostante non abbiamo mai tralasciato il culto degli d?i. Per questo essi ci hanno restituito la patria, la vittoria e l'antico splendore militare che avevamo perduto. E contro i nemici, rei - perch? accecati dall'avidit? - di avere violato il trattato e la parola data pesando l'oro, gli d?i hanno rivolto la paura, la fuga e la disfatta.
 

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