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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita V, 53
 
originale
 
[53] At enim apparet quidem pollui omnia nec ullis piaculis expiari posse; sed res ipsa cogit uastam incendiis ruinisque relinquere urbem et ad integra omnia Veios migrare nec hic aedificando inopem plebem uexare. Hanc autem iactari magis causam quam ueram esse, ut ego non dicam, apparere uobis, Quirites, puto, qui meministis ante Gallorum aduentum, saluis tectis publicis priuatisque, stante incolumi urbe, hanc eandem rem actam esse ut Veios transmigraremus. Et uidete quantum inter meam sententiam uestramque intersit, tribuni. Vos, etiamsi tunc faciendum non fuerit, nunc utique faciendum putatis: ego contra?nec id mirati sitis, priusquam quale sit audieritis?etiamsi tum migrandum fuisset incolumi tota urbe, nunc has ruinas relinquendas non censerem. Quippe tum causa nobis in urbem captam migrandi uictoria esset, gloriosa nobis ac posteris nostris; nunc haec migratio nobis misera ac turpis, Gallis gloriosa est. Non enim reliquisse uictores, sed amisisse uicti patriam uidebimur: hoc ad Alliam fuga, hoc capta urbs, hoc circumsessum Capitolium necessitas imposuisse ut desereremus penates nostros exsiliumque ac fugam nobis ex eo loco conscisceremus quem tueri non possemus. Et Galli euertere potuerunt Romam quam Romani restituere non uidebuntur potuisse? Quid restat nisi ut, si iam nouis copiis ueniant?constat enim uix credibilem multitudinem esse?et habitare in capta ab se, deserta a uobis hac urbe uelint, sinatis? Quid? Si non Galli hoc sed ueteres hostes uestri, Aequi Volsciue, faciant ut commigrent Romam, uelitisne illos Romanos, uos Veientes esse? An malitis hanc solitudinem uestram quam urbem hostium esse? Non equidem uideo quid magis nefas sit. Haec scelera, quia piget aedificare, haec dedecora pati parati estis? Si tota urbe nullum melius ampliusue tectum fieri possit quam casa illa conditoris est nostri, non in casis ritu pastorum agrestiumque habitare est satius inter sacra penatesque nostros quam exsulatum publice ire? Maiores nostri, conuenae pastoresque, cum in his locis nihil praeter siluas paludesque esset, nouam urbem tam breui aedificarunt: nos Capitolio, arce incolumi, stantibus templis deorum, aedificare incensa piget? Et, quod singuli facturi fuimus si aedes nostrae deflagrassent, hoc in publico incendio uniuersi recusamus facere?
 
traduzione
 
53 Ma, voi mi direte, cos? facendo tutto risulterebbe contaminato senza alcuna possibilit? di purificazione; tuttavia lo stato delle cose in s? e per s? ci obbliga ad abbandonare una citt? trasformata in un deserto dagli incendi e dalle rovine, e a trasferirci a Veio dove tutto ? intatto, evitando cos? di vessare la povera plebe con la ricostruzione qui della citt?. Eppure che questo sia un semplice pretesto pi? che il motivo reale credo vi sia chiaro, o Quiriti, senza che debba venirvelo a dire io; vi ricordate infatti benissimo di come, prima dell'arrivo dei Galli (quando cio? gli edifici pubblici e privati erano intatti e la nostra citt? era sana e salva), era gi? stata discussa questa stessa proposta di trasferirci a Veio. E considerate quale sia il divario tra il mio e il vostro modo di vedere le cose. Voi ritenete che anche se allora la cosa non doveva essere messa in pratica, adesso lo dev'essere comunque. Io al contrario - e non meravigliatevi delle mie parole prima di averne colto il significato -, anche se allora fosse stato giusto emigrare quando Roma era intatta, penso che adesso non dovremmo abbandonare queste rovine. Perch? allora la vittoria sarebbe stata per noi e per i nostri discendenti un motivo glorioso per emigrare in una citt? conquistata, mentre adesso questa emigrazione risulterebbe per noi una umiliante vergogna, e una ragione di vanto per i Galli. Sembrer? infatti non che abbiamo abbandonato il nostro paese da vincitori, ma che l'abbiamo perduto da vinti; che la rotta presso l'Allia, la presa di Roma e l'assedio del Campidoglio ci abbiano imposto di abbandonare i nostri penati, condannandoci volontariamente all'esilio e alla fuga da quella terra che non eravamo in grado di difendere. Bisogner? lasciar credere che i Galli siano riusciti a distruggere Roma e che i Romani non siano stati capaci di ricostruirla? E cosa vi resta da fare, qualora debbano ripresentarsi con nuove truppe - si sa che il loro numero ? sterminato - e decidano di stabilirsi in questa citt? conquistata da loro e da voi abbandonata, se non rassegnarvi? Se invece non i Galli ma i vostri nemici di un tempo, Equi e Volsci, dovessero emigrare a Roma, vi piacerebbe che essi diventassero Romani e voi Veienti? Oppure non preferite che questo sia un deserto vostro piuttosto che una citt? dei nemici? Non vedo cosa possa esserci di pi? abominevole. E voi sareste disposti a tollerare queste scelleratezze e queste vergogne solo perch? vi infastidisce mettervi a ricostruire? Se in tutta la citt? non si riuscir? a tirare su nessuna casa che sia pi? bella o pi? ampia della famosa capanna del nostro fondatore, non sarebbe meglio abitare in capanne alla maniera di pastori e contadini, ma in mezzo ai nostri penati e ai nostri riti piuttosto che andare in esilio tutti insieme di comune accordo? I nostri antenati, degli stranieri, dei pastori, anche se da queste parti c'erano solo foreste e paludi, edificarono una citt? dal nulla in pochissimo tempo. E a noi, anche se il Campidoglio e la cittadella sono intatte e i templi degli d?i ancora in piedi, d? fastidio ricostruire ci? che ? stato distrutto dagli incendi? E ci? che ciascuno di noi avrebbe fatto se fosse bruciata la sua casa, ci rifiutiamo di farlo insieme in questo incendio che ha coinvolto tutti?
 

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