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Ovidio


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brano
 
Livio
Ab urbe condita VI, 2
 
originale
 
[2] Nec diu licuit quietis consilia erigendae ex tam graui casu rei publicae secum agitare. Hinc Volsci, ueteres hostes, ad exstinguendum nomen Romanum arma ceperant: hinc Etruriae principum ex omnibus populis coniurationem de bello ad fanum Voltumnae factam mercatores adferebant. Nouus quoque terror accesserat defectione Latinorum Hernicorumque, qui post pugnam ad lacum Regillum factam per annos prope centum nunquam ambigua fide in amicitia populi Romani fuerant. Itaque cum tanti undique terrores circumstarent appareretque omnibus non odio solum apud hostes sed contemptu etiam inter socios nomen Romanum laborare, placuit eiusdem auspiciis defendi rem publicam cuius reciperata esset dictatoremque dici M. Furium Camillum. Is dictator C. Seruilium Ahalam magistrum equitum dixit; iustitioque indicto dilectum iuniorum habuit ita ut seniores quoque, quibus aliquid roboris superesset, in uerba sua iuratos centuriaret. Exercitum conscriptum armatumque trifariam diuisit: partem unam in agro Veiente Etruriae opposuit, alteram ante urbem castra locare iussit; tribuni militum his A. Manlius, illis quia aduersus Etruscos mittebantur L. Aemilius praepositus; tertiam partem ipse ad Volscos duxit nec procul a Lanuuio?ad Mecium is locus dicitur?castra oppugnare est adortus. Quibus ab contemptu, quod prope omnem deletam a Gallis Romanam iuuentutem crederent, ad bellum profectis tantum Camillus auditus imperator terroris intulerat ut uallo se ipsi, uallum congestis arboribus saepirent, ne qua intrare ad munimenta hostis posset. Quod ubi animaduertit Camillus, ignem in obiectam saepem coici iussit; et forte erat uis magna uenti uersa in hostem; itaque non aperuit solum incendio uiam sed flammis in castra tendentibus uapore etiam ac fumo crepituque uiridis materiae flagrantis ita consternauit hostes, ut minor moles superantibus uallum militibus munitum in castra Volscorum Romanis fuerit quam transcendentibus saepem incendio absumptam fuerat. Fusis hostibus caesisque cum castra impetu cepisset dictator, praedam militi dedit, quo minus speratam minime largitore duce, eo militi gratiorem. Persecutus deinde fugientes cum omnem Volscum agrum depopulatus esset, ad deditionem Volscos septuagesimo demum anno subegit. Victor ex Volscis in Aequos transiit et ipsos bellum molientes; exercitum eorum ad Bolas oppressit, nec castra modo sed urbem etiam adgressus impetu primo cepit.
 
traduzione
 
2 Ma ai Romani non venne concesso di riflettere a lungo con serenit? sui progetti di ricostruzione del paese dopo un disastro tanto grave. Da una parte i Volsci, nemici di vecchia data, avevano infatti preso le armi determinati a cancellare dalla faccia della terra il nome di Roma. Dall'altra, stando a quanto riferivano certi mercanti, i capi di tutti i popoli dell'Etruria si erano riuniti presso il santuario di Voltumna e avevano stretto un patto di guerra. Un nuovo motivo di allarme venne poi aggiunto dalla defezione di Latini ed Ernici, che per quasi cent'anni, cio? dai tempi della battaglia combattuta presso il lago Regillo, avevano mantenuto sempre una leale amicizia con il popolo romano. Cos?, visto il gran numero di minacce provenienti da ogni dove, ed essendo chiaro a tutti che ormai il nome di Roma non era soltanto oggetto di odio da parte dei nemici, ma anche di disprezzo da parte degli alleati, si decise di difendere il paese sotto gli auspici dello stesso personaggio che ne aveva propiziato la riconquista, e di nominare perci? dittatore Marco Furio Camillo. Questi, nella sua veste di dittatore, scelse come proprio maestro di cavalleria Gaio Servilio Aala e, dopo aver proclamato la sospensione dell'attivit? giudiziaria, organizz? una leva militare di giovani, facendo in modo per? di distribuire in centurie, dopo un giuramento di obbedienza, anche i veterani dotati di un certo vigore fisico. Dopo aver cos? arruolato ed armato l'esercito, lo suddivise in tre parti. La prima, la stanzi? nel territorio di Veio col c?mpito di fronteggiare gli Etruschi. Alla seconda diede ordine di accamparsi di fronte a Roma, e ne affid? il comando al tribuno militare Aulo Manlio, mentre pose a capo delle truppe inviate contro gli Etruschi Lucio Emilio. La terza parte dell'esercit? la guid? lui in persona contro i Volsci e poco distante da Lanuvio - in un punto che si chiama Mecio - ne attacc? l'accampamento. I Volsci, che si erano buttati nella guerra spinti dal disprezzo e dalla convinzione che quasi tutta la giovent? romana fosse stata distrutta dai Galli, non appena seppero che il comandante era Camillo, si spaventarono a tal punto da proteggere se stessi con una palizzata e la palizzata con una barriera di tronchi d'albero, in maniera che il nemico non potesse penetrare da nessuna parte all'interno dei loro dispositivi di difesa. Quando Camillo se ne rese conto, ordin? ai suoi uomini di dar fuoco allo sbarramento di tronchi. Si era levato, per caso, un forte vento in direzione dei nemici, ed esso non solo apr? la strada all'incendio, ma spingendo verso le tende le fiamme miste al vapore, al fumo e al crepitio del legno verde che bruciava spavent? a tal punto i nemici che i soldati romani trovarono minore difficolt? nel superare la trincea fortificata dei Volsci di quanta non ne avessero avuta nell'attraversare la barriera divorata dal fuoco. Sbaragliati e fatti a pezzi i nemici, dopo aver assaltato vittoriosamente l'accampamento, il dittatore concesse il bottino ai soldati, cosa che risult? tanto pi? gradita alle truppe quanto meno attesa giunse, vista la scarsa abitudine del comandante a tali largizioni. Quindi, dopo aver dato la caccia ai fuggitivi devastando nel contempo l'intera campagna volsca, Camillo costrinse finalmente i Volsci alla resa dopo settant'anni di guerra. Vittorioso sui Volsci, Camillo si rivolse contro gli Equi che erano ugualmente impegnati in preparativi di guerra. Piomb? a sorpresa sul loro esercito nei pressi di Bola e al primo assalto ne cattur? non solo l'accampamento ma anche la citt
 

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