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Ovidio


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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita VI, 23
 
originale
 
[23] Idem ardor et in Romano exercitu erat et in altero duce, nec praesentis dimicationis fortunam ulla res praeterquam unius uiri consilium atque imperium morabatur, qui occasionem iuuandarum ratione uirium trahendo bello quaerebat. eo magis hostis instare nec iam pro castris tantum suis explicare aciem sed procedere in medium campi et uallo prope hostium signa inferendo superbam fiduciam uirium ostentare. id aegre patiebatur Romanus miles, multo aegrius alter ex tribunis militum, L. Furius, ferox cum aetate et ingenio, tum multitudinis ex incertissimo sumentis animos spe inflatus. hic per se iam milites incitatos insuper instigabat eleuando, qua una poterat, aetate auctoritatem collegae, iuuenibus bella data dictitans et cum corporibus uigere et deflorescere animos; cunctatorem ex acerrimo bellatore factum et, qui adueniens castra urbesque primo impetu rapere sit solitus, eum residem intra uallum tempus terere, quid accessurum suis decessurumue hostium uiribus sperantem? quam occasionem, quod tempus, quem insidiis instruentem locum? frigere ac torpere senis consilia. sed Camillo cum uitae satis tum gloriae esse; quid attinere cum mortali corpore uno ciuitatis quam immortalem esse deceat pati consenescere uires? his sermonibus tota in se auerterat castra; et cum omnibus locis posceretur pugna, 'sustinere' inquit, 'M. Furi, non possumus impetum militum, et hostis, cuius animos cunctando auximus, iam minime toleranda superbia insultat; cede unus omnibus et patere te uinci consilio ut maturius bello uincas'. ad ea Camillus, quae bella suo unius auspicio gesta ad eam diem essent, negare in eis neque se neque populum Romanum aut consilii sui aut fortunae paenituisse; nunc scire se collegam habere iure imperioque parem, uigore aetatis praestantem; itaque se quod ad exercitum attineat, regere consuesse, non regi: collegae imperium se non posse impedire. dis bene iuuantibus ageret quod e re publica duceret: aetati suae se ueniam etiam petere ne in prima acie esset. quae senis munia in bello sint, iis se non defuturum: id a dis immortalibus precari ne qui casus suum consilium laudabile efficiat. nec ab hominibus salutaris sententia nec a dis tam piae preces auditae sunt. primam aciem auctor pugnae instruit, subsidia Camillus firmat ualidamque stationem pro castris opponit; ipse edito loco spectator intentus in euentum alieni consilii constitit.
 
traduzione
 
23 Lo stesso ardore animava l'esercito romano e il secondo comandante, e le sole cose che ritardassero il rischio di uno scontro immediato erano l'assennatezza e l'autorit? di un unico uomo, che, sforzandosi di prolungare la campagna, cercava l'occasione per supplire all'inferiorit? delle forze con qualche mossa tattica. Per questo il nemico aumentava ancora di pi? la pressione e non si limitava soltanto a spiegare le truppe di fronte all'accampamento, ma avanzava anche in mezzo alla pianura e si spingeva quasi fino sotto il terrapieno dei romani, ostentando un'orgogliosa fiducia nelle proprie forze. I soldati romani mal tolleravano queste esibizioni, ma la cosa costava ancora pi? fatica al secondo comandante, Lucio Furio, uomo impetuoso per ragioni di et? e di carattere, ed esaltato dalla speranza della massa, cui la grande incertezza della situazione infondeva coraggio. Anche se i soldati erano gi? di per s? infiammati, egli li sobillava screditando il prestigio del collega nell'unico modo possibile, e cio? sul piano dell'et?. Continuava infatti a ripetere che le guerre sono fatte per i giovani e che gli animi prendono vigore e sfioriscono con il corpo. Il pi? accanito dei combattenti si stava trasformando in un temporeggiatore, uno solito in passato a impadronirsi al primo assalto degli accampamenti e delle citt? presso le quali arrivava, adesso se ne stava a perder tempo, inerte, dentro al vallo. Cosa sperava? Di accrescere le proprie forze o che diminuissero quelle nemiche? Quale occasione propizia, quale momento favorevole stava attendendo, e quale imboscata stava preparando? Le idee del vecchio erano fredde e lente. Camillo aveva avuto lunga vita e gloria: ma allora perch? permettere che le forze di un paese destinato all'immortalit? deperissero insieme col corpo mortale di un unico uomo? Dopo essersi conquistato con discorsi di questo tipo la simpatia di tutto l'accampamento, e poich? da ogni parte si invocava la battaglia, Lucio Furio aggiunse: ?Non possiamo, o Marco Furio, frenare pi? a lungo l'entusiasmo dei soldati, mentre il nemico, di cui abbiamo incrementato il coraggio a forza di indugiare, ormai ci offende con un'intollerabile arroganza. Fatti da parte, visto che sei solo contro tutti, e lasciati vincere dal buon senso, in modo da vincere pi? rapidamente in guerra.? A queste parole Camillo replic? che nelle guerre combattute fino a quel giorno sotto i suoi soli auspici, n? il popolo romano n? lui stesso si erano mai pentiti delle sue risoluzioni o della sua buona sorte; sapeva di avere ora un collega con pari diritti e autorit?, ma superiore per il vigore dovuto alla giovane et?. Perci?, pur essendo abituato - almeno in ci? che riguardava l'esercito - a comandare e non a essere comandato, non aveva il potere di ostacolare l'autorit? del collega. Agisse, dunque, con l'aiuto degli d?i, come riteneva pi? vantaggioso per la repubblica: egli, per parte sua, domandava di non andare in prima linea in considerazione dell'et?, garantendo per? che non sarebbe venuto meno agli obblighi di un anziano in guerra. Agli d?i immortali chiedeva solo questo: che un disgraziato caso non facesse rimpiangere i suoi piani. Ma n? gli uomini dettero ascolto a queste parole di salvezza, n? gli d?i esaudirono una preghiera cos? pia. Il fautore dello scontro schier? la prima linea, mentre Camillo assicur? la copertura delle retrovie, disponendo un solido contingente di fronte all'accampamento. Poi si and? a piazzare su un'altura, osservando con attenzione i risultati dell'altrui strategia.
 

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