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Ovidio


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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita VI, 34
 
originale
 
[34] Quanto magis prosperis eo anno bellis tranquilla omnia foris erant, tanto in urbe uis patrum in dies miseriaeque plebis crescebant, cum eo ipso, quod necesse erat solui, facultas soluendi impediretur. itaque cum iam ex re nihil dari posset, fama et corpore iudicati atque addicti creditoribus satisfaciebant poenaque in uicem fidei cesserat. adeo ergo obnoxios summiserant animos non infimi solum sed principes etiam plebis, ut non modo ad tribunatum militum inter patricios petendum, quod tanta ui ut liceret tetenderant, sed ne ad plebeios quidem magistratus capessendos petendosque ulli uiro acri experientique animus esset, possessionemque honoris usurpati modo a plebe per paucos annos reciperasse in perpetuum patres uiderentur. ne id nimis laetum parti alteri esset, parua, ut plerumque solet, rem ingentem moliundi causa interuenit. M. Fabi Ambusti, potentis uiri cum inter sui corporis homines tum etiam ad plebem, quod haudquaquam inter id genus contemptor eius habebatur, filiae duae nuptae, Ser. Sulpicio maior, minor C. Licinio Stoloni erat, illustri quidem uiro tamen plebeio; eaque ipsa adfinitas haud spreta gratiam Fabio ad uolgum quaesierat. forte ita incidit ut in Ser. Sulpici tribuni militum domo sorores Fabiae cum inter se, ut fit, sermonibus tempus tererent, lictor Sulpici, cum is de foro se domum reciperet, forem, ut mos est, uirga percuteret. cum ad id moris eius insueta expauisset minor Fabia, risui sorori fuit miranti ignorare id sororem; ceterum is risus stimulos paruis mobili rebus animo muliebri subdidit. frequentia quoque prosequentium rogantiumque num quid uellet credo fortunatum matrimonium ei sororis uisum suique ipsam malo arbitrio, quo a proximis quisque minime anteiri uolt, paenituisse. confusam eam ex recenti morsu animi cum pater forte uidisset, percontatus 'satin salue?' auertentem causam doloris, quippe nec satis piam aduersus sororem nec admodum in uirum honorificam, elicuit comiter sciscitando, ut fateretur eam esse causam doloris, quod iuncta impari esset, nupta in domo quam nec honos nec gratia intrare posset. consolans inde filiam Ambustus bonum animum habere iussit: eosdem propediem domi uisuram honores quos apud sororem uideat. inde consilia inire cum genero coepit, adhibito L. Sextio, strenuo adulescente et cuius spei nihil praeter genus patricium deesset.
 
traduzione
 
34 Quanto pi? l'esito favorevole delle guerre di quell'anno aveva assicurato la tranquillit? esterna, tanto pi? aumentavano in citt? giorno dopo giorno la violenza dei patrizi e le sofferenze della plebe, poich? proprio l'obbligo di pagare i debiti alla scadenza rendeva ancora pi? difficile la possibilit? di estinguerli. E cos?, siccome la gente non poteva pi? far fronte ai pagamenti ricorrendo al proprio patrimonio, i debitori dichiarati colpevoli e assegnati ai creditori come schiavi soddisfacevano i creditori con la perdita dell'onore e della libert?, e la pena aveva rimpiazzato il pagamento. Di conseguenza, non solo le persone pi? umili, ma anche i capi erano cos? abbattuti e sottomessi che tra di loro non c'era pi? un solo uomo che avesse la determinazione e l'intraprendenza necessarie non solo per contendere il tribunato militare ai patrizi (privilegio questo per il quale avevano lottato con cos? tanto accanimento), ma anche per aspirare alle magistrature plebee ed esigerle. Sembrava che i patrizi avessero ripreso per sempre possesso di una carica detenuta dai plebei soltanto per qualche anno. Ma a non permettere che esultasse troppo una sola delle due parti, un motivo da nulla, come spesso succede, ingener? conseguenze di grossa portata. Le due figlie di Marco Fabio Ambusto, uomo di notevole influenza non solo all'interno del proprio gruppo ma anche presso la plebe (i cui membri non lo consideravano assolutamente uno che li disprezzava), erano andate in moglie la maggiore a Servio Sulpicio, mentre la minore a Gaio Licinio Stolone, personaggio molto in vista anche se di estrazione plebea. E il fatto stesso che Fabio non avesse disdegnato questa parentela gli aveva acquisito il favore del popolo. Per puro caso successe che, mentre le sorelle Fabie si trovavano in casa di Servio Sulpicio allora tribuno militare e stavano chiacchierando, come spesso succede alle donne, per far passare il tempo, un littore di Sulpicio, tornando a casa dal foro, buss? alla porta - secondo l'usanza - con la sua verga. Fabia, la minore, che non era abituata a quest'usanza, si spavent?, e la sorella scoppi? a ridere, sorpresa di questa ignoranza. Ma quella risata, dato che gli stati d'animo delle donne si lasciano influenzare da cose da nulla, punse al vivo la giovane. Ma forse anche la grande folla che accompagnava il tribuno e gli domandava se avesse qualche ordine da dare le fece sembrare felice il matrimonio della sorella, portandola a sentirsi scontenta del suo, per quell'insana voglia per cui nessuno accetta di essere sorpassato dai propri parenti. Un giorno che lei era ancora tormentata per la recente offesa al suo orgoglio, il padre che la incontr? per caso le chiese se andasse tutto bene. Ma non ostante la ragazza cercasse di nascondere il vero motivo del proprio risentimento, considerandolo poco affettuoso nei confronti della sorella e non troppo onorevole verso il marito, il padre, insistendo con dolcezza, riusc? a farle confessare la causa del suo cruccio: essere unita a un uomo di condizione inferiore alla sua, e di essersi sposata in una casa dove non potevano entrare n? gli onori n? il prestigio. Cercando di consolare la figlia, Ambusto le consigli? di stare di buon animo, garantendole che di l? a poco avrebbe visto nella propria casa quegli stessi onori che vedeva dalla sorella. Da quel momento in poi cominci? a fare progetti con il genero, introducendo nelle loro riunioni anche Lucio Sestio, un giovane di valore le cui aspirazioni erano tarpate soltanto dalla mancanza di sangue patrizio.
 

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