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Ovidio


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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita VI, 36
 
originale
 
[36] Alia bella opportune quieuere: Veliterni coloni gestientes otio quod nullus exercitus Romanus esset, et agrum Romanum aliquotiens incursauere et Tusculum oppugnare adorti sunt; eaque res Tusculanis, ueteribus sociis, nouis ciuibus, opem orantibus uerecundia maxime non patres modo sed etiam plebem mouit. remittentibus tribunis plebis comitia per interregem sunt habita; creatique tribuni militum L. Furius A. Manlius Ser. Sulpicius Ser. Cornelius P. et C. Valerii. haudquaquam tam oboedientem in dilectu quam in comitiis plebem habuere; ingentique contentione exercitu scripto profecti non ab Tusculo modo summouere hostem sed intra suamet ipsum moenia compulere; obsidebanturque haud paulo ui maiore Velitrae quam Tusculum obsessum fuerat. nec tamen ab eis, a quibus obsideri coeptae erant, expugnari potuere; ante noui creati sunt tribuni militum, Q. Seruilius C. Veturius A. et M. Cornelii Q. Quinctius M. Fabius. nihil ne ab his quidem tribunis ad Velitras memorabile factum. in maiore discrimine domi res uertebantur. nam praeter Sextium Liciniumque latores legum, iam octauum tribunos plebis refectos, Fabius quoque tribunus militum, Stolonis socer, quarum legum auctor fuerat, earum suasorem se haud dubium ferebat; et cum octo ex collegio tribunorum plebi primo intercessores legum fuissent, quinque soli erant, et, ut ferme solent qui a suis desciscunt, capti et stupentes animi uocibus alienis id modo quod domi praeceptum erat intercessioni suae praetendebant: Velitris in exercitu plebis magnam partem abesse; in aduentum militum comitia differri debere, ut uniuersa plebes de suis commodis suffragium ferret. Sextius Liciniusque cum parte collegarum et uno ex tribunis militum Fabio, artifices iam tot annorum usu tractandi animos plebis, primores patrum productos interrogando de singulis, quae ferebantur ad populum, fatigabant: auderentne postulare ut, cum bina iugera agri plebi diuiderentur, ipsis plus quingenta iugera habere liceret ut singuli prope trecentorum ciuium possiderent agros, plebeio homini uix ad tectum necessarium aut locum sepulturae suus pateret ager? an placeret fenore circumuentam plebem, [ni] potius quam sortem [creditum] soluat, corpus in neruum ac supplicia dare et gregatim cottidie de foro addictos duci et repleri uinctis nobiles domus et, ubicumque patricius habitet, ibi carcerem priuatum esse?
 
traduzione
 
36 Fortunatamente non scoppiarono altre guerre. Ma i coloni di Velletri sempre pi? imbaldanziti ora che c'era la pace e non vi era alcun esercito romano, effettuarono qualche scorreria nel territorio di Roma, e si accinsero ad assediare Tuscolo. Questa circostanza colp? nel vivo non solo i patrizi ma anche la plebe, che non se la sentirono di respingere la richiesta d'aiuto presentata dai Tuscolani, loro alleati di antica data e da poco concittadini. Venuta quindi meno l'opposizione dei tribuni della plebe, un interr? presiedette le elezioni, a s?guito delle quali risultarono nominati tribuni militari Lucio Furio, Aulo Manlio, Servio Sulpicio, Servio Cornelio, Publio e Gaio Valerio. Essi trovarono la plebe molto meno disponibile nei confronti della leva militare di quanto non fosse stata rispetto alle elezioni. Messo insieme un esercito con molte difficolt?, partiti da Roma non si limitarono ad allontanare i nemici da Tuscolo, ma li costrinsero addirittura a barricarsi all'interno delle proprie mura, e Velletri sub? un assedio molto pi? duro di quello toccato a Tuscolo. Tuttavia la citt? non venne espugnata da quegli uomini che ne avevano cominciato l'assedio: furono prima eletti dei nuovi tribuni militari (e cio? Quinto Servilio, Gaio Veturio, Aulo e Marco Cornelio, Quinto Quinzio e Marco Fabio), i quali, a loro volta, non riuscirono a compiere nulla di memorabile intorno a Velletri. In citt? la situazione era pi? critica. Infatti, oltre a Sestio e Licinio che avevano avanzato le proposte di legge e che erano in carica per l'ottava volta, anche il tribuno militare Fabio, suocero di Stolone, sosteneva in maniera accanita quei provvedimenti di cui era stato promotore. E anche se all'inizio otto membri del collegio dei tribuni della plebe si erano opposti alle proposte di legge, ora erano rimasti soltanto in cinque. E questi ultimi, confusi e disorientati come di solito succede a chi abbandona la propria fazione, facendosi eco di voci altrui giustificavano il proprio veto solo con quanto gli era stato in privato imposto di dire: e cio? che gran parte della plebe era assente da Roma perch? impegnata a Velletri con l'esercito, e che bisognava rinviare le assemblee al ritorno dei soldati, in maniera tale che tutta la plebe potesse votare in questioni che la riguardavano da vicino. Sesto e Licinio, insieme ad alcuni colleghi e al solo Fabio tra i tribuni militari, esperti com'erano - dopo tanti anni di pratica - nell'arte di manipolare gli animi della plebe, dopo aver chiamato in pubblico i membri pi? eminenti dell'aristocrazia, li assillavano con domande sulle singole proposte presentate al popolo: avevano il coraggio di pretendere, quando la terra veniva assegnata alla plebe in una proporzione di due iugeri a testa, l'autorizzazione a possederne loro stessi pi? di cinquecento, e che a uno solo di loro toccasse la terra di quasi trecento cittadini, mentre a un plebeo spettava un appezzamento in cui c'era spazio a malapena per la casa o per la tomba? Oppure volevano che i plebei, schiacciati dall'usura, abbandonassero i propri corpi alla prigione e alla tortura, invece di pagare il debito, e che ogni giorno frotte di debitori condannati alla schiavit? venissero trascinate via dal foro, riempiendo cos? di prigionieri in catene le case dei nobili, e trasformando in carcere privato ogni dimora patrizia?
 

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