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Progetto
Ovidio - database
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Livio
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Ab urbe condita VII, 10
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originale
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[10] Diu inter primores iuuenum Romanorum silentium fuit, cum et abnuere certamen uererentur et praecipuam sortem periculi petere nollent; tum T. Manlius L. Filius, qui patrem a uexatione tribunicia uindicauerat, ex statione ad dictatorem pergit; "iniussu tuo" inquit, "imperator, extra ordinem nunquam pugnauerim, non si certam uictoriam uideam: si tu permittis, uolo ego illi beluae ostendere, quando adeo ferox praesultat hostium signis, me ex ea familia ortum quae Gallorum agmen ex rupe Tarpeia deiecit." Tum dictator "macte uirtute" inquit "ac pietate in patrem patriamque, T. Manli, esto. Perge et nomen Romanum inuictum iuuantibus dis praesta." Armant inde iuuenem aequales; pedestre scutum capit, Hispano cingitur gladio ad propiorem habili pugnam. Armatum adornatumque aduersus Gallum stolide laetum et?quoniam id quoque memoria dignum antiquis uisum est?linguam etiam ab inrisu exserentem producunt. Recipiunt inde se ad stationem; et duo in medio armati spectaculi magis more quam lege belli destituuntur, nequaquam uisu ac specie aestimantibus pares. Corpus alteri magnitudine eximium, uersicolori ueste pictisque et auro caelatis refulgens armis; media in altero militaris statura modicaque in armis habilibus magis quam decoris species; non cantus, non exsultatio armorumque agitatio uana sed pectus animorum iraeque tacitae plenum; omnem ferociam in discrimen ipsum certaminis distulerat. Vbi constitere inter duas acies tot circa mortalium animis spe metuque pendentibus, Gallus uelut moles superne imminens proiecto laeua scuto in aduenientis arma hostis uanum caesim cum ingenti sonitu ensem deiecit; Romanus mucrone subrecto, cum scuto scutum imum perculisset totoque corpore interior periculo uolneris factus insinuasset se inter corpus armaque, uno alteroque subinde ictu uentrem atque inguina hausit et in spatium ingens ruentem porrexit hostem. Iacentis inde corpus ab omni alia uexatione intactum uno torque spoliauit, quem respersum cruore collo circumdedit suo. Defixerat pauor cum admiratione Gallos: Romani alacres ab statione obuiam militi suo progressi, gratulantes laudantesque ad dictatorem perducunt. Inter carminum prope in modum incondita quaedam militariter ioculantes Torquati cognomen auditum; celebratum deinde posteris etiam familiae honori fuit. Dictator coronam auream addidit donum mirisque pro contione eam pugnam laudibus tulit.
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traduzione
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10 Tra i giovani patrizi romani ci fu un lungo silenzio dovuto alla vergogna di non poter raccogliere la sfida e alla paura di offrirsi volontari per una missione tanto rischiosa. Allora Tito Manlio, figlio di Lucio, il giovane che aveva salvato il padre dalle accuse del tribuno, lasci? la sua posizione e si avvi? verso il dittatore. ?Senza un tuo ordine, o comandante?, disse ?non combatterei mai fuori dal mio posto, neppure se vedessi che la vittoria ? sicura. Se tu me lo concedi, a quella bestia che ora fa tanto lo spavaldo davanti alle insegne nemiche io vorrei dare la prova di discendere da quella famiglia che cacci? gi? dalla rupe Tarpea le schiere dei Galli?. Allora il dittatore rispose: ?Onore e gloria al tuo coraggio e al tuo attaccamento al padre e alla patria, o Tito Manlio. Vai e con l'aiuto degli d?i d?i prova che il nome di Roma ? invincibile?. Poi i compagni lo aiutarono ad armarsi: prese uno scudo da fante e si cinse in vita una spada ispanica, pi? adatta per lo scontro ravvicinato. Dopo averlo armato di tutto punto, lo accompagnarono verso il soldato gallico che stava stolidamente esultando e che (particolare anche questo ritenuto degno di menzione da parte degli antichi) si faceva beffe di lui tirando fuori la lingua dalla bocca. Poi rientrarono ai loro posti, mentre i due uomini armati restarono soli in mezzo al ponte, pi? simili in verit? a gladiatori che a soldati regolari. Nulla li rendeva pari, almeno a giudicare dall'aspetto esterno: l'uno aveva un fisico di straordinaria prestanza, portava vesti sgargianti e rifulgeva di armi cesellate in oro. L'altro era un soldato di media statura e portava armi pi? maneggevoli che belle: non cantava, non gesticolava con tracotanza n? faceva vana esibizione delle proprie armi, ma aveva il petto che fremeva di palpiti di coraggio e di rabbia repressa e riservava tutta la sua aggressivit? per il culmine dello scontro. Quando essi presero posizione tra i due eserciti, mentre intorno i cuori di tutti i soldati erano sospesi tra la speranza e la paura, il campione dei Galli, la cui massa imponente sovrastava dall'alto l'avversario, avanzando con lo scudo proteso al braccio sinistro, sferr? un fendente di taglio sull'armatura del Romano che gli veniva incontro, ma lo manc?, con un grande rimbombo. Il Romano, tenendo alta la punta della spada, colp? col proprio scudo la parte bassa di quello dell'avversario; poi, insinuatosi tra il corpo e le armi di quest'ultimo in modo tale da non correre il rischio di essere ferito, con due colpi sferrati uno dopo l'altro gli trapass? il ventre e l'inguine facendolo stramazzare a terra, disteso in tutta la sua mole. Tito Manlio si astenne dall'infierire sul corpo del nemico crollato al suolo, limitandosi a spogliarlo della sola collana, che indoss? a sua volta, coperta com'era di sangue. I Galli erano paralizzati dalla paura mista all'ammirazione. I Romani, invece, abbandonando la posizione, corsero festanti incontro al loro commilitone e lo portarono dal dittatore, tra congratulazioni ed elogi. Tra le rozze battute che i soldati inserivano nei loro cori pi? o meno simili a versi si sent? anche l'appellativo di Torquato, soprannome che in s?guito rimase famoso e fu anche motivo di onore per i discendenti della sua famiglia. Il dittatore aggiunse in dono una corona d'oro e di fronte alle truppe in adunata celebr? con le lodi pi? alte quel combattimento.
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