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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita VII, 14
 
originale
 
[14] Dictator quamquam rem bonam exemplo haud probabili actam censebat tamen facturum quod milites uellent, in se recepit Tulliumque secreto quaenam haec res sit aut quo acta more percontatur. Tullius magno opere a dictatore petere ne se oblitum disciplinae militaris, ne sui neue imperatoriae maiestatis crederet; multitudini concitatae, quae ferme auctoribus similis esset, non subtraxisse se ducem ne quis alius, quales mota creare multitudo soleret, exsisteret; nam se quidem nihil non arbitrio imperatoris acturum. Illi quoque tamen uidendum magno opere esse ut exercitum in potestate haberet; differri non posse adeo concitatos animos; ipsos sibi locum ac tempus pugnandi sumpturos, si ab imperatore non detur. Dum haec loquuntur, iumenta forte pascentia extra uallum Gallo abigenti duo milites Romani ademerunt. In eos saxa coniecta a Gallis; deinde ab Romana statione clamor ortus ac procursum utrimque est. Iamque haud procul iusto proelio res erat, ni celeriter diremptum certamen per centuriones esset; adfirmata certe eo casu Tulli apud dictatorem fides est; nec recipiente iam dilationem re, in posterum diem edicitur acie pugnaturos. Dictator tamen, ut qui magis animis quam uiribus fretus ad certamen descenderet, omnia circumspicere atque agitare coepit ut arte aliqua terrorem hostibus incuteret. Sollerti animo rem nouam excogitat, qua deinde multi nostri atque externi imperatores, nostra quoque quidam aetate, usi sunt: mulis strata detrahi iubet binisque tantum centunculis relictis agasones partim captiuis, partim aegrorum armis ornatos imponit. His fere mille effectis centum admiscet equites et nocte super castra in montes euadere ac siluis se occultare iubet neque inde ante mouere quam ab se acceperint signum. Ipse, ubi inluxit, in radicibus montium extendere aciem coepit sedulo, ut aduersus montes consisteret hostis, instructo uani terroris apparatu, qui quidem terror plus paene ueris uiribus profuit. Primo credere duces Gallorum non descensuros in aequum Romanos; deinde, ubi degressos repente uiderunt, et ipsi auidi certaminis in proelium ruunt priusque pugna coepit quam signum ab ducibus daretur.
 
traduzione
 
14 Pur pensando che l'iniziativa, di per s? ottima, fosse stata condotta in maniera non certo esemplare, ci? non ostante il dittatore decise di seguire la volont? della truppa, e in privato domand? a Tullio che cosa significasse quel gesto e sulla base di quale precedente egli avesse agito. Tullio preg? il dittatore di non credere che egli si fosse dimenticato della disciplina militare, n? della propria posizione n? tantomeno dell'autorit? del comandante: siccome la massa ? in genere della stessa stoffa dei suoi capi, egli non aveva rifiutato di esserne il portavoce, per evitare che saltasse fuori qualcun altro simile a quelli che di solito la massa in fermento suole scegliere come propri rappresentanti. Ma a essere sincero, non avrebbe fatto nulla senza l'approvazione del suo comandante, il quale doveva del resto guardarsi bene dal lasciarsi sfuggire di mano il controllo dell'esercito, visto che in quello stato di eccitazione rimandare la soluzione del problema non sarebbe servito a molto. Se infatti l'ordine non fosse venuto dal comandante, avrebbero scelto da soli luogo e tempo per entrare in battaglia. Mentre questo colloquio era in pieno svolgimento, uno dei Galli tent? di portar via degli animali che si trovavano a pascolare al di l? della palizzata, ma se li vide strappare da due Romani, contro i quali i Galli presero a scagliare sassi. Dalla postazione romana si lev? allora l'allarme e da entrambe le parti gli uomini si mossero allo scontro. E ormai la scaramuccia stava per trasformarsi in una battaglia vera e propria, se i centurioni non avessero prontamente diviso i contendenti. Questo incidente persuase il dittatore sul realismo delle parole di Tullio: dato che la situazione non ammetteva ulteriori dilazioni, annunci? che il giorno successivo si sarebbe combattuto in campo aperto. Ma il dittatore, scendendo in campo convinto pi? del temperamento che non della forza della sue truppe, cominci? a guardarsi intorno e a studiare qualche stratagemma per spaventare il nemico. Grazie alla sua abilit? tattica, escogit? un nuovo espediente, di cui si servirono in s?guito molti comandanti romani e di altre genti (alcuni anche ai nostri giorni): ordin? ai palafrenieri di togliere le selle ai muli, lasciando solo un paio di coperte e disse loro di montarli vestendosi parte con le armi dei prigionieri e parte con quelle degli ammalati. Dopo averne messi insieme circa mille, vi mescol? un centinaio di cavalieri e ordin? loro di piazzarsi al calar della notte sulle montagne che sovrastavano l'accampamento e di non muoversi di l? finch? non avessero ricevuto il segnale. Quanto al dittatore, non appena fece giorno, cominci? a organizzare con estrema cura la sua linea di battaglia alle pendici delle alture, in maniera che i nemici andassero a piazzarsi di fronte alle montagne dove era stato allestito per spaventarli un espediente che, pur non avendo nulla di concreto al di l? delle apparenze, fu per i Romani quasi pi? utile della loro stessa forza. Sulle prime i comandanti dei Galli supposero che i Romani non sarebbero scesi in pianura. Ma poi, quando li videro iniziare di colpo la discesa, impazienti com'erano di venire allo scontro, si buttarono a testa bassa e la battaglia ebbe inizio prima ancora che i rispettivi comandanti avessero dato il segnale d'inizio.
 

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