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brano
 
Livio
Ab urbe condita VII, 15
 
originale
 
[15] Acrius inuasere Galli dextro cornu; neque sustineri potuissent, ni forte eo loco dictator fuisset, Sex. Tullium nomine increpans rogitansque sicine pugnaturos milites spopondisset? Vbi illi clamores sint arma poscentium, ubi minae iniussu imperatoris proelium inituros? En ipsum imperatorem clara uoce uocare ad proelium et ire armatum ante prima signa; ecquis sequeretur eorum qui modo ducturi fuerint, in castris feroces, in acie pauidi? Vera audiebant; itaque tantos pudor stimulos admouit, ut ruerent in hostium tela alienatis a memoria periculi animis. Hic primo impetus prope uecors turbauit hostes, eques deinde emissus turbatos auertit. Ipse dictator, post quam labantem una parte uidit aciem, signa in laeuum cornu confert, quo turbam hostium congregari cernebat, et iis qui in monte erant signum quod conuenerat dedit. Vbi inde quoque nouus clamor ortus est et tendere obliquo monte ad castra Gallorum uisi sunt, tum metu ne excluderentur omissa pugna est cursuque effuso ad castra ferebantur. Vbi cum occurrisset eis M. Valerius magister equitum, qui profligato dextro cornu obequitabat hostium munimentis, ad montes siluasque uertunt fugam plurimique ibi a fallaci equitum specie agasonibusque excepti sunt; et eorum, quos pauor pertulerat in siluas, atrox caedes post sedatum proelium fuit. Nec alius post M. Furium quam C. Sulpicius iustiorem de Gallis egit triumphum. Auri quoque ex Gallicis spoliis satis magnum pondus saxo quadrato saeptum in Capitolio sacrauit. Eodem anno et a consulibus uario euentu bellatum; nam Hernici a C. Plautio deuicti subactique sunt, Fabius collega eius incaute atque inconsulte aduersus Tarquinienses pugnauit. Nec in acie tantum ibi cladis acceptum quam quod trecentos septem milites Romanos captos Tarquinienses immolarunt; qua foeditate supplicii aliquanto ignominia populi Romani insignitior fuit. Accessit ad eam cladem et uastatio Romani agri, quam Priuernates, Veliterni deinde, incursione repentina fecerunt. Eodem anno duae tribus, Pomptina et Publilia, additae; ludi uotiui, quos M. Furius dictator uouerat, facti; et de ambitu ab C. Poetelio tribuno plebis auctoribus patribus tum primum ad populum latum est; eaque rogatione nouorum maxime hominum ambitionem, qui nundinas et conciliabula obire soliti erant, compressam credebant.
 
traduzione
 
15 L'ala destra dei Galli attacc? in maniera ancora pi? poderosa: e per i Romani non sarebbe stato possibile resistere, se il dittatore non si fosse trovato per puro caso da quella parte. Chiamando per nome Sesto Tullio, gli domand? se fosse quello il modo di combattere da lui promesso a nome dei soldati. Dov'erano finite le urla di quelli che chiedevano di poter correre alle armi, dove le minacce di entrare in battaglia senza l'ordine del comandante? Ecco, ora il loro comandante li spronava a gran voce alla battaglia e ad avanzare con la spada in pugno al di l? delle insegne! Possibile che tra quanti poco prima erano pronti a dare ordini non ce ne fosse uno disposto a seguirlo, loro che nell'accampamento ostentavano baldanza e poi diventavano codardi in battaglia? Le parole del comandante corrispondevano a verit?: e la vergogna provata fu uno stimolo tanto forte da far s? che si lanciassero contro i proiettili nemici dimentichi del pericolo. Questo assalto quasi da forsennati gett? lo scompiglio tra gli avversari, che vennero poi messi in rotta da un attacco della cavalleria ancor prima di potersi riprendere dalla confusione. Il dittatore stesso, non appena si rese conto che una parte dello schieramento stava perdendo colpi, diresse l'attacco verso il fianco sinistro dei Galli (nel punto in cui le loro fila apparivano pi? compatte), e diede il segnale convenuto agli uomini appostati sulle alture. E quando anch'essi alzarono un nuovo grido di guerra e i Galli li videro scendere lungo le pendici del monte in direzione del loro accampamento, temendo di rimanere tagliati fuori, abbandonarono la battaglia e fuggirono disordinatamente verso l'accampamento stesso. L? per? vennero intercettati dal maestro di cavalleria Marco Valerio, il quale, dopo averne disperso il fianco sinistro, stava gi? cavalcando di fronte ai dispositivi di difesa. Allora i fuggiaschi cambiarono direzione puntando verso i monti e i boschi, dove per? la maggior parte di essi venne fronteggiata dai palafrenieri travestiti da cavalieri. Quelli che erano stati spinti dal panico verso i boschi furono massacrati senza piet? a battaglia gi? conclusa. Dai tempi di Marco Furio, nessuno merit? pi? di Gaio Sulpicio di celebrare un trionfo sui Galli. Egli raccolse dalle spoglie dei Galli una notevole quantit? d'oro che consacr? agli d?i in Campidoglio facendola interrare in una cella sotterranea. Nel corso di quello stesso anno anche i consoli combatterono, pur se con esiti diversi. Gaio Plauzio infatti vinse e sottomise gli Ernici. Il suo collega Fabio combatt? invece contro i Tarquiniesi, dimostrando per? di non possedere n? prudenza n? senso tattico. In quella campagna non furono tanto gravi le perdite patite sul campo, quanto piuttosto il fatto che i Tarquiniesi uccisero trecento sette soldati romani fatti prigionieri. Atto questo di barbara crudelt? che rese ancora pi? clamorosa l'umiliazione del popolo romano. A quella disfatta si andarono ad aggiungere anche le devastazioni compiute in s?guito da Privernati e Veliterni con una improvvisa incursione in territorio romano. Quello stesso anno vennero aggiunte due nuove trib?, la Pontina e la Publilia, e si celebrarono i giochi promessi in voto dal dittatore Marco Furio. Su iniziativa del senato, per la prima volta nella storia di Roma, il tribuno della plebe Gaio Petilio present? al popolo un disegno di legge sulla corruzione elettorale. Con questa misura si sperava di eliminare l'abitudine di brigare a caccia di voti, specialmente da parte degli uomini nuovi, i quali erano soliti andare in giro per piazze e mercati.
 

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