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Livio
Ab urbe condita VII, 16
 
originale
 
[16] Haud aeque laeta patribus insequenti anno C. Marcio Cn. Manlio consulibus de unciario fenore a M. Duillio L. Menenio tribunis plebis rogatio est perlata; et plebs aliquanto eam cupidius sciuit. Ad bella noua priore anno destinata Falisci quoque hostes exorti duplici crimine quod et cum Tarquiniensibus iuuentus eorum militauerat et eos qui Falerios perfugerant cum male pugnatum est, repetentibus fetialibus Romanis non reddiderant. Ea prouincia Cn. Manlio obuenit. Marcius exercitum in agrum Priuernatem, integrum pace longinqua, induxit militemque praeda impleuit. Ad copiam rerum addidit munificentiam, quod nihil in publicum secernendo augenti rem priuatam militi fauit. Priuernates cum ante moenia sua castris permunitis consedissent, uocatis ad contionem militibus "castra nunc" inquit "uobis hostium urbemque praedae do, si mihi pollicemini uos fortiter in acie operam nauaturos nec praedae magis quam pugnae paratos esse." Signum poscunt ingenti clamore celsique et spe haud dubia feroces in proelium uadunt. Ibi ante signa Sex. Tullius, de quo ante dictum est, exclamat "adspice, imperator" inquit, "quemadmodum exercitus tuus tibi promissa praestet", piloque posito stricto gladio in hostem impetum facit. Sequuntur Tullium antesignani omnes primoque impetu auertere hostem; fusum inde ad oppidum persecuti, cum iam scalas moenibus admouerent, in deditionem urbem acceperunt. Triumphus de Priuernatibus actus. Ab altero consule nihil memorabile gestum, nisi quod legem nouo exemplo ad Sutrium in castris tributim de uicensima eorum qui manumitterentur tulit. Patres, quia ea lege haud paruum uectigal inopi aerario additum esset, auctores fuerunt; ceterum tribuni plebis, non tam lege quam exemplo moti, ne quis postea populum seuocaret, capite sanxerunt: nihil enim non per milites iuratos in consulis uerba, quamuis perniciosum populo, si id liceret, ferri posse. Eodem anno C. Licinius Stolo a M. Popilio Laenate sua lege decem milibus aeris est damnatus, quod mille iugerum agri cum filio possideret emancupandoque filium fraudem legi fecisset.
 
traduzione
 
16 Fu invece meno gradita ai senatori una proposta di legge presentata l'anno successivo durante il consolato di Gaio Marcio e Gneo Manlio. Gli autori della proposta - accolta con ben altro favore dalla plebe e volta a limitare il tasso di interesse annuo all'uno per cento - furono i tribuni della plebe Marco Duilio e Lucio Menenio. Alle guerre gi? decise l'anno precedente, venne ad aggiungersene una con i Falisci. A questo popolo venivano imputate due colpe, e cio? il fatto che alcuni loro giovani avessero militato nelle file dei Tarquiniesi e il non aver riconsegnato ai feziali che li reclamavano i Romani rifugiatisi a Faleri dopo la rotta. La campagna tocc? a Gneo Manlio. Marcio guid? invece un esercito nel territorio dei Privernati (rimasto intatto per il lungo periodo di pace intercorso), e riemp? le truppe di bottino. Alla grande razzia il console aggiunse anche la propria generosit?, perch? non fece accantonare nulla per le casse dello Stato, favorendo l'utile personale dei soldati. Dato che i Privernati si erano accampati di fronte alle mura della loro citt? proteggendosi con massicce opere di fortificazione, egli convoc? l'adunata e rivolse alle sue truppe queste parole: ?L'accampamento e la citt? dei nemici ve li concedo fin da adesso come vostro bottino, a patto che mi garantiate di svolgere il vostro c?mpito con valore, pensando pi? alla battaglia che al bottino?. I soldati chiesero allora a gran voce che venisse dato loro il segnale e si gettarono con ardore in battaglia, rincuorati da una sicurezza che non ammetteva dubbi. Fu allora che Sesto Tullio (di cui abbiamo parlato prima), davanti alle insegne, grid?: ?Guarda, comandante, come il tuo esercito mantiene la promessa fatta!?. Poi, lasciata l'asta, impugn? la spada e si gett? all'assalto del nemico. I soldati della prima linea lo seguirono in massa e, messi in fuga i nemici al primo urto, li inseguirono fino in citt?. E l?, quando i Romani stavano ormai accostando le scale ai muri, la citt? si arrese. La vittoria sui Privernati venne celebrata con un trionfo. L'altro console non fece nulla che valga la pena di menzionare, se si esclude che, nel suo accampamento presso Sutri, facendo votare gli uomini per trib? (una prassi senza precedenti), riusc? a far approvare una legge in base alla quale le affrancazioni di schiavi venivano tassate del cinque per cento. Il senato approv? la legge, perch? essa garantiva un gettito di denaro non trascurabile per l'erario in grave crisi. Ma i tribuni della plebe, preoccupati pi? dal precedente stabilito che dalla legge in s?, ottennero che venisse sancita la pena di morte per chiunque avesse in s?guito osato convocare l'assemblea del popolo lontano da Roma. Infatti, se ci? fosse stato concesso, qualunque cosa, per quanto dannosa per il popolo, avrebbe potuto essere approvata attraverso il voto dei soldati vincolati dal giuramento di obbedienza al console. Nel corso di quel medesimo anno, Gaio Licinio Stolone venne condannato, sulla base della sua stessa legge, a un'ammenda di diecimila assi, per il fatto che, possedendo insieme col figlio mille iugeri di terra, aveva tentato di aggirare la legge dichiarando il figlio indipendente dalla patria potest
 

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