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Ovidio


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Livio
Ab urbe condita VII, 40
 
originale
 
[40] Vbi primum in conspectum uentum est [et] arma signaque agnouere, extemplo omnibus memoria patriae iras permulsit. Nondum erant tam fortes ad sanguinem ciuilem nec praeter externa nouerant bella, ultimaque rabies secessio ab suis habebatur; itaque iam duces, iam milites utrimque congressus quaerere ac conloquia: Quinctius, quem armorum etiam pro patria satietas teneret nedum aduersus patriam, Coruinus omnes caritate ciues, praecipue milites, et ante alios suum exercitum complexus. [Is] ad conloquium processit. Cognito ei extemplo haud minore ab aduersariis uerecundia quam ab suis silentium datum. "Deos" inquit "immortales, milites, uestros meosque ab urbe proficiscens ita adoraui ueniamque supplex poposci ut mihi de uobis concordiae partae gloriam non uictoriam darent. Satis fuit eritque unde belli decus pariatur: hinc pax petenda est. Quod deos immortales inter nuncupanda uota expoposci, eius me compotem uoti uos facere potestis, si meminisse uoltis non uos in Samnio nec in Volscis sed in Romano solo castra habere, si illos colles quos cernitis patriae uestrae esse, si hunc exercitum ciuium uestrorum, si me consulem uestrum, cuius ductu auspicioque priore anno bis legiones Samnitium fudistis, bis castra ui cepistis. Ego sum M. Valerius Coruus, milites, cuius uos nobilitatem beneficiis erga uos non iniuriis sensistis, nullius superbae in uos legis, nullius crudelis senatus consulti auctor, in omnibus meis imperiis in me seuerior quam in uos. Ac si cui genus, si cui sua uirtus, si cui etiam maiestas, si cui honores subdere spiritus potuerunt, iis eram natus, id specimen mei dederam, ea aetate consulatum adeptus eram, ut potuerim tres et uiginti annos natus consul patribus quoque ferox esse non solum plebi. Quod meum factum dictumue consulis grauius quam tribuni audistis? Eodem tenore duo insequentes consulatus gessi, eodem haec imperiosa dictatura geretur; ut neque in hos meos et patriae meae milites [sim] mitior quam in uos?horreo dicere?hostes. Ergo uos prius in me strinxeritis ferrum quam in uos ego; istinc signa canent, istinc clamor prius incipiet atque impetus, si dimicandum est. Inducite in animum quod non induxerunt patres auique uestri, non illi qui in Sacrum montem secesserunt, non hi qui postea Auentinum insederunt. Exspectate, dum uobis singulis, ut olim Coriolano, matres coniugesque crinibus passis obuiae ab urbe ueniant. Tum Volscorum legiones, quia Romanum habebant ducem, quieuerunt: uos, Romanus exercitus, ne destiteritis impio bello. T. Quincti, quocumque istic loco seu uolens seu inuitus constitisti, si dimicandum erit, tum tu in nouissimos te recipito; fugeris etiam honestius tergumque ciui dederis quam pugnaueris contra patriam. Nunc ad pacificandum bene atque honeste inter primos stabis et conloquii huius salutaris interpres fueris. Postulate aequa et ferte; quamquam uel iniquis standum est potius quam impias inter nos conseramus manus." T. Quinctius plenus lacrimarum ad suos uersus "me quoque" inquit, "milites, si quis usus mei est, meliorem pacis quam belli habetis ducem. Non enim illa modo Volscus aut Samnis sed Romanus uerba fecit, uester consul, uester imperator, milites, cuius auspicia pro uobis experti nolite aduersus uos uelle experiri. Qui pugnarent uobiscum infestius, et alios duces senatus habuit: qui maxime uobis, suis militibus, parceret, cui plurimum uos, imperatori uestro, crederetis, eum elegit. Pacem etiam qui uincere possunt uolunt: quid nos uelle oportet? Quin omissis ira et spe, fallacibus auctoribus, nos ipsos nostraque omnia cognitae permittimus fidei?"
 
traduzione
 
40 Non appena i due schieramenti giunsero l'uno in vista dell'altro e riconobbero le rispettive armi e insegne, a tutti venne s?bito in mente la patria e quel ricordo plac? la loro ira. Gli uomini non erano ancora cos? duri da spargere il sangue dei concittadini; non avevano conosciuto nient'altro che guerre con popoli stranieri e la secessione dal resto della cittadinanza era considerata l'apice di ogni rabbiosa reazione. Cos?, da entrambe le parti, tanto i comandanti quanto i soldati semplici cercavano il modo per incontrarsi e trattare: tanto Quinzio, che era sazio anche di guerre in difesa della patria (immaginiamoci poi di guerre contro di essa), quanto Corvino che voleva bene a tutti i concittadini, in particolar modo ai soldati e al di sopra di ogni altro al suo stesso esercito. Fu lui a farsi avanti per avviare le trattative. Non appena lo riconobbero, cal? s?bito il silenzio e gli avversari mostrarono di avere per lui non meno rispetto di quanto ne avessero i suoi uomini. ?Soldati?, cominci? Corvino, ?mentre mi accingevo a uscire da Roma, ho rivolto una preghiera agli d?i immortali vostri e miei, chiedendo loro supplichevolmente di concedermi l'onore non tanto di avere la meglio su di voi quanto di ottenere la vostra riconciliazione. Le varie guerre hanno gi? offerto abbastanza occasioni di gloria, e altre ne offriranno. Ora bisogna adoperarsi per arrivare alla pace. Le richieste che ho fatto agli d?i immortali con la mia preghiera, voi potreste da soli realizzarle, se soltanto voleste ricordare di aver posto il vostro accampamento in territorio romano e non nel Sannio o nella terra dei Volsci, se vi venisse in mente che i colli che vedete si trovano nel vostro paese natale, che questo esercito ? fatto di vostri concittadini e che io sono il vostro console, quello sotto i cui auspici e il cui comando avete per due volte sbaragliato le legioni dei Sanniti, per due volte conquistato il loro accampamento. Soldati, io sono Marco Valerio Corvo, il cui sangue patrizio conoscete per i benefici ricevuti e non per le ingiustizie perpetrate nei vostri confronti: sono un uomo che non ha mai proposto n? leggi irriguardose n? ha mai votato decisioni del senato crudeli verso di voi, risultando in tutte le posizioni di potere da lui occupate sempre pi? rigido con se stesso che con voi. Ma se le origini, il valore personale, la dignit? e i riconoscimenti hanno mai suscitato in qualcuno l'arroganza, ebbene io per nascita mi trovavo in quella condizione: avevo dato una tale prova delle mie capacit?, ero arrivato alla pi? alta carica della repubblica in et? cos? giovane che, console a ventitr? anni, avrei potuto essere sprezzante anche nei confronti dei patrizi, e non solo della plebe. Ma quando ero console ho forse detto e fatto qualcosa di meno accettabile rispetto a quando ero tribuno? Ho retto due consolati consecutivi comportandomi nella stessa maniera: nel condurre questa dittatura che mi conferisce poteri assoluti mi atterr? agli stessi principi: non mi comporter?, nei confronti di questi miei uomini e dei soldati della mia gente, in maniera pi? mite di quanto non facciano i nemici - e al solo pronunciare questa parola rabbrividisco - nei vostri confronti. Perci? sguainerete la spada prima voi contro di me che non io contro di voi. Dunque le trombe suonino il segnale di battaglia dalla vostra parte, l'urlo di guerra e l'assalto partano dalla vostra parte, se davvero si deve combattere. Osate pure quello che i vostri padri e i vostri antenati non osarono, e non ebbero il coraggio di mettere in pratica n? i plebei che si ritirarono sul monte Sacro, n? quelli che poi si ritirarono sull'Aventino. Aspettate fino a quando a ciascuno di voi - come successe in passato a Coriolano - verranno incontro le madri e le mogli coi capelli sciolti! Fu allora che le legioni dei Volsci, siccome avevano un comandante romano, cessarono di combattere. Volete non astenervi dal combattere una guerra scellerata voi che siete un esercito romano? Tito Quinzio, qualunque sia la tua posizione in quello schieramento - che tu l'abbia cio? occupata di spontanea volont? o sia stato forzato a farlo -, se si tratter? di combattere, allora rit?rati in mezzo alla retroguardia: per te sar? meno vergognoso fuggire e dare le spalle a dei concittadini piuttosto che combattere contro la patria. Ma ora che si deve arrivare alla pace, ? giusto e doveroso che tu stia qua in prima fila e agisca nel supremo interesse delle due parti. Se le vostre richieste sono ragionevoli, verranno accolte; ma ? preferibile accordarci anche a condizioni inique piuttosto che versare sangue in uno scontro empio?. Tito Quinzio, voltandosi con le lacrime agli occhi verso i suoi uomini, disse loro: ?Se, soldati, io sono di qualche utilit?, posso essere per voi una guida migliore verso la pace che verso la guerra. Quelle parole non le ha pronunciate un Volsco o un Sannita, ma un Romano, il vostro console, o soldati, il vostro comandante: i suoi auspici li avete sperimentati in vostro favore, non cercate quindi di metterne alla prova l'efficacia contro di voi. Il senato aveva a disposizione anche altri comandanti in grado di affrontarvi in maniera ben pi? drastica: eppure ha scelto l'uomo che avrebbe trattato con voi - i suoi uomini - con maggior comprensione, e nel quale, come vostro comandante, avreste potuto riporre il massimo della fiducia. La pace ? l'obiettivo anche di chi ? in grado di dominare: che cosa dovremmo dunque desiderare noi? Lasciamo da parte l'ira e la speranza, falsi consiglieri e affidiamo noi stessi e la nostra causa a un uomo la cui lealt? ? conosciuta da tutti?.
 

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