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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita VII, 41
 
originale
 
[41] Approbantibus clamore cunctis T. Quinctius ante signa progressus in potestate dictatoris milites fore dixit; orauit ut causam miserorum ciuium susciperet susceptamque eadem fide qua rem publicam administrare solitus esset tueretur: sibi se priuatim nihil cauere; nolle alibi quam in innocentia spem habere; militibus cauendum, quod apud patres semel plebi, iterum legionibus cautum sit ne fraudi secessio esset. Quinctio conlaudato, ceteris bonum animum habere iussis, dictator equo citato ad urbem reuectus auctoribus patribus tulit ad populum in luco Petelino ne cui militum fraudi secessio esset. Orauit etiam bona uenia Quirites ne quis eam rem ioco serioue cuiquam exprobraret. Lex quoque sacrata militaris lata est ne cuius militis scripti nomen nisi ipso uolente deleretur; additumque legi ne quis, ubi tribunus militum fuisset, postea ordinum ductor esset. Id propter P. Salonium postulatum est ab coniuratis, qui alternis prope annis et tribunus militum et primus centurio erat, quem nunc primi pili appellant. Huic infensi milites erant, quod semper aduersatus nouis consiliis fuisset et, ne particeps eorum esset, [qui] ab Lautulis fugisse[n]t. Itaque cum hoc unum propter Salonium ab senatu non impetraretur, tum Salonius obtestatus patres conscriptos ne suum honorem pluris quam concordiam ciuitatis aestimarent, perpulit ut id quoque ferretur. Aeque impotens postulatum fuit ut de stipendio equitum?merebant autem triplex ea tempestate?aera demerentur, quod aduersati coniurationi fuissent.
 
traduzione
 
41 Poich? tutti approvavano a gran voce, Tito Quinzio avanz? oltre le insegne e annunci? che i suoi uomini si sarebbero rimessi all'autorit? del dittatore, che egli implor? di sostenere la causa di quei disgraziati concittadini e, accettato tale c?mpito, di proteggerne gli interessi con lo stesso scrupolo con cui era solito amministrare le cose di pubblico interesse. Quanto alla sua personale situazione, Tito Quinzio dichiar? di non voler nessuna garanzia in quanto non intendeva far affidamento su altro che sulla propria innocenza. Ai soldati, invece, come gi? in passato alla plebe al tempo degli avi e poi in s?guito alle legioni, avrebbe dovuto essere assicurato che la secessione non li avrebbe fatti incorrere in punizioni. Elogiato Tito Quinzio e invitato il resto della truppa a ben sperare, il dittatore torn? al galoppo in citt? dove, dopo aver ottenuto l'autorizzazione del senato, fece approvare dal popolo riunito nel bosco Petelino una legge in virt? della quale nessun soldato avrebbe potuto esser perseguito a causa della secessione. Li preg? poi, in qualit? di cittadini romani, di evitargli generosamente che quell'incidente diventasse per qualcuno motivo di biasimo, reale o per celia. Venne anche approvata una legge sacrata militare in base alla quale non avrebbe potuto essere cancellato dai ranghi il nome di alcun soldato arruolato, a meno che lo stesso ne avesse fatto richiesta; alla legge venne aggiunta una clausola che impediva a chiunque di comandare una centuria nei quadri di una legione nella quale era stato tribuno. I protagonisti della insurrezione militare chiesero di applicare questo provvedimento ai danni di Publio Salonio, il quale era stato con regolare alternanza un anno tribuno dei soldati e l'anno dopo primo centurione (grado che oggi ? conosciuto come centurione primipilo). Gli uomini erano ostili nei suoi confronti perch? Salonio si era sempre opposto ai loro progetti di ammutinamento ed era fuggito da Lautule per evitare coinvolgimenti nella rivolta. E cos?, dato che il senato non voleva cedere su quest'unico punto per riguardo nei confronti di Salonio, fu Salonio stesso che, implorando i senatori di non anteporre la sua onorabilit? alla concordia civile, li spinse a cedere anche in quel caso. Ugualmente sfrontata fu la richiesta di ridurre lo stipendio dei cavalieri - che allora guadagnavano tre volte la paga dei fanti -, per il semplice fatto che essi si erano opposti all'ammutinamento.
 

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