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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Livio
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Ab urbe condita VIII, 21
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originale
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[21] Cum ipsa per se res anceps esset, prout cuiusque ingenium erat atrocius mitiusue suadentibus, tum incertiora omnia unus ex Priuernatibus legatis fecit, magis condicionis in qua natus esset quam praesentis necessitatis memor; qui interrogatus a quodam tristioris sententiae auctore quam poenam meritos Priuernates censeret, 'eam' inquit 'quam merentur qui se libertate dignos censent'. cuius cum feroci responso infestiores factos uideret consul eos qui ante Priuernatium causam impugnabant, ut ipse benigna interrogatione mitius responsum eliceret, 'quid si poenam' inquit, 'remittimus uobis, qualem nos pacem uobiscum habituros speremus?' 'si bonam dederitis,' inquit 'et fidam et perpetuam; si malam, haud diuturnam.' tum uero minari nec id ambigue Priuernatem quidam et illis uocibus ad rebellandum incitari pacatos populos; pars melior senatus ad molliora responsa trahere et dicere uiri et liberi uocem auditam: an credi posse ullum populum aut hominem denique in ea condicione, cuius eum paeniteat, diutius quam necesse sit mansurum? ibi pacem esse fidam ubi uoluntarii pacati sint, neque eo loco ubi seruitutem esse uelint fidem sperandam esse. in hanc sententiam maxime consul ipse inclinauit animos, identidem ad principes sententiarum consulares, uti exaudiri posset a pluribus, dicendo eos demum qui nihil praeterquam de libertate cogitent dignos esse qui Romani fiant. itaque et in senatu causam obtinuere et ex auctoritate patrum latum ad populum est ut Priuernatibus ciuitas daretur. eodem anno Anxur trecenti in coloniam missi sunt; bina iugera agri acceperunt.
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traduzione
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21 Non ostante la questione fosse gi? di per s? incerta e ciascuno suggerisse, a seconda della propria indole, un comportamento pi? o meno severo, tutto venne ulteriormente complicato da un membro della delegazione privernate, il quale, preoccupato pi? della condizione nella quale era nato che non della gravit? del frangente, essendogli stato chiesto da un sostenitore di misure ben pi? severe quale fosse a sua detta la giusta pena per i Privernati, disse: ?Quella che meritano quanti si ritengono degni di essere liberi?. Il console, vedendo che questa risposta altezzosa aveva accresciuto l'ostilit? di chi era gi? contrario alla causa dei Privernati, sperando di ottenere una risposta meno dura con una domanda pi? benevola, chiese: ?Se vi condoniamo la pena, che tipo di pace possiamo sperare da voi??. La risposta fu: ?Leale e duratura, se quella che ci proporrete voi sar? buona; ma di breve durata, se cattiva?. Fu allora che qualcuno grid? che i Privernati stavano apertamente minacciando i Romani e che quelle parole erano per i popoli in pace un'istigazione alla rivolta. Ma la parte pi? moderata del senato dava un senso migliore a quelle parole e sosteneva che si era ascoltata la voce di un uomo libero: era mai possibile credere che un popolo o un uomo sarebbero rimasti pi? a lungo del dovuto in una condizione intollerabile? Una pace sicura si aveva l? dove era stata volontariamente accettata, e non si poteva sperare che ci fosse lealt? l? dove si cercava di imporre la schiavit?.
Fu soprattutto il console a orientare verso questa opinione, dicendo agli ex consoli, cui toccava per primi esprimere il proprio parere, con voce abbastanza alta da farsi sentire anche dagli altri, che solo quanti non pensavano ad altro che alla libert? erano degni di diventare romani. Cos? i Privernati vinsero la loro causa in senato e su proposta del senato venne presentata al popolo una proposta di legge per conferire loro la cittadinanza romana.
Quello stesso anno vennero inviati trecento coloni ad Anxur e a ciascuno di essi andarono due iugeri di terra.
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