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Ovidio


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autore
brano
 
Livio
Ab urbe condita IX, 8
 
originale
 
[8] Quo creati sunt die, eo?sic enim placuerat patribus? magistratum inierunt sollemnibusque senatus consultis perfectis de pace Caudina rettulerunt; et Publilius, penes quem fasces erant, "dic, Sp. Postumi" inquit. Qui ubi surrexit, eodem illo uoltu quo sub iugum missus erat, "haud sum ignarus" inquit, "consules, ignominiae non honoris causa me primum excitatum iussumque dicere, non tamquam senatorem sed tamquam reum qua infelicis belli qua ignominiosae pacis. Ego tamen, quando neque de noxa nostra neque de poena rettulistis, omissa defensione, quae non difficillima esset apud haud ignaros fortunarum humanarum necessitatiumque, sententiam de eo de quo rettulistis paucis peragam; quae sententia testis erit mihine an legionibus uestris pepercerim, cum me seu turpi seu necessaria sponsione obstrinxi; qua tamen, quando iniussu populi facta est, non tenetur populus Romanus, nec quicquam ex ea praeterquam corpora nostra debentur Samnitibus. Dedamur per fetiales nudi uinctique; exsoluamus religione populum, si qua obligauimus, ne quid diuini humaniue obstet quo minus iustum piumque de integro ineatur bellum. Interea consules exercitum scribere, armare, educere placet, nec prius ingredi hostium fines quam omnia iusta in deditionem nostram perfecta erunt. Vos, di immortales, precor quaesoque, si uobis non fuit cordi Sp. Postumium T. Veturium consules cum Samnitibus prospere bellum gerere, at uos satis habeatis uidisse nos sub iugum missos, uidisse sponsione infami obligatos, uidere nudos uinctosque hostibus deditos, omnem iram hostium nostris capitibus excipientes; nouos consules legionesque Romanas ita cum Samnite gerere bellum uelitis, ut omnia ante nos consules bella gesta sunt." quae ubi dixit, tanta simul admiratio miseratioque uiri incessit homines ut modo uix crederent illum eundem esse Sp. Postumium qui auctor tam foedae pacis fuisset, modo miserarentur quod uir talis etiam praecipuum apud hostes supplicium passurus esset ob iram diremptae pacis. Cum omnes laudibus modo prosequentes uirum in sententiam eius pedibus irent, temptata paulisper intercessio est ab L. Liuio et Q. Maelio tribunis plebis, qui neque exsolui religione populum aiebant deditione sua, nisi omnia Samnitibus qualia apud Caudium fuissent restituerentur, neque se pro eo quod spondendo pacem seruassent exercitum populi Romani poenam ullam meritos esse, neque ad extremum, cum sacrosancti essent, dedi hostibus uiolariue posse.
 
traduzione
 
8 Essi entrarono in carica lo stesso giorno in cui erano stati eletti (questa la decisione del senato) e, dopo aver portato a compimento i decreti ordinari del senato, misero all'ordine del giorno il dibattito sulla pace di Caudio. Publilio, cui quel giorno toccava il potere, disse: ?Parla, o Spurio Postumio?. Questi si alz? in piedi e, con la stessa espressione con la quale era andato sotto il giogo, disse: ?Non ignoro, o consoli, di esser stato chiamato e invitato a parlare per primo non in segno di onore ma a titolo di infamia, e non certo in qualit? di senatore, ma come responsabile di una guerra sventurata e di una pace infamante. Tuttavia, dato che non avete messo all'ordine del giorno la discussione relativa alla nostra colpevolezza e neppure alla pena da infliggerci, tralasciando di difendermi (cosa che non sarebbe troppo difficile di fronte a uomini non certo ignari dei casi e delle vicissitudini umane), esprimer? in poche parole la mia opinione sulla questione da voi posta all'ordine del giorno. E sar? la mia opinione a testimoniare se io abbia voluto salvare me stesso o piuttosto le vostre legioni, quando mi sono impegnato dando una garanzia tanto ignominiosa quanto necessaria. Nei confronti di questa il popolo romano non ha alcun tipo di vincolo, poich? essa ? stata offerta senza il suo consenso, e in virt? di essa ai Sanniti non ? dovuto nulla se non le nostre persone. Consegnateci nudi e legati tramite i feziali: liberiamo dall'obbligo religioso il popolo, se lo abbiamo vincolato in qualche modo, affinch? non vi sia alcuno scrupolo divino o umano che impedisca di ricominciare da capo una guerra giusta e sacrosanta. Propongo che nel frattempo i consoli arruolino un nuovo esercito, lo armino e lo guidino fuori dalla citt?, senza entrare per? in territorio nemico prima che siano state messe in pratica tutte le operazioni necessarie per la nostra consegna. Io invoco e supplico voi, o d?i immortali: se non avete voluto che i consoli Spurio Postumio e Tito Veturio conducessero con successo la guerra contro i Sanniti, almeno accontentatevi di averci visti andare sotto il giogo, di averci visti vincolati da una promessa umiliante, consegnati nudi e legati al nemico, pronti a ricevere sui nostri corpi tutta l'ira dei nemici. Fate s? che i nuovi consoli e le legioni romane combattano la guerra contro i Sanniti nello stesso modo in cui sono state combattute tutte le guerre precedenti al nostro consolato?. Non appena ebbe pronunciato queste parole, i presenti furono presi, insieme, da una tale ammirazione e compassione verso quell'uomo, che da una parte stentavano a convincersi che egli fosse quello stesso Spurio Postumio che aveva firmato una pace tanto vergognosa, e dall'altra provavano pena al pensiero che una simile personalit? dovesse sopportare il pi? crudele supplizio da parte dei nemici risentiti per la rottura della pace. Mentre l'intera assemblea non aveva che parole di elogio per quell'eroe e ne approvava la proposta, tentarono per qualche tempo di porre il proprio veto i tribuni della plebe Lucio Livio e Quinto Melio, i quali sostenevano che la consegna dei due ex consoli non poteva liberare il popolo dall'obbligo religioso, a meno che ai Sanniti non venisse restituita ogni cosa nello stato in cui si trovava a Caudio. Aggiungevano di non meritare alcuna pena per il fatto di aver salvato l'esercito del popolo romano offrendo le proprie persone come garanzia alla pace, e infine di non poter essere consegnati ai nemici n? sottoposti a violenza, vista la loro caratteristica di inviolabilit
 

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